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Poletti controcorrente: «Un 110 e lode a 28 anni non serve a un…

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a “job&Orienta”

Poletti controcorrente: «Un 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, meglio laurearsi con 97 a 21»

«Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21». I pro e i contro dei tempi medi delle lauree nostrane portano la firma del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, un giudizio netto che ha scosso gli studenti in visita al salone “Job&Orienta”, in corso alla Fiera di Verona. E dato fuoco alla miccia delle reazioni e delle polemiche sui social.

Polemiche e reazioni sui social
«Lui aveva risolto così il problema: non s'è laureato», ha subito twittato qualcuno, stessa linea di chi ha invece scritto «In effetti, se un perito agrario può fare il Ministro del Lavoro...». Non mancano comunque i commenti favorevoli all'uscita dell'ex presidente della Lega Coop. Sempre su Twitter, un altro utente ha commentato che «è di moda insultare i potenti di turno, e spesso se lo meritano, ma penso che #Poletti abbia detto una cosa oggettivamente vera». Il ministro «sbaglia per difetto», chiosa un altro a favore del “teorema Poletti”, perchè «nella realtà internazionale, sei già out!».

Il ministro: in Italia il tempo è un problema, giovani al lavoro troppo tardi
Meglio laurearsi prima che dopo, ha insistito il ministro continuando nel suo ragionamento, perché «in Italia abbiamo un problema gigantesco: è il tempo. I nostri giovani arrivano al mercato del lavoro in gravissimo ritardo. Quasi tutti quelli che incontro mi dicono che si trovano a competere con ragazzi di altre nazioni che hanno sei anni meno di loro e fare la gara con chi ha sei anni di tempo in più diventa durissimo». «Se si gira in tondo per prendere mezzo voto in più - ha insistito il ministro - si butta via del tempo che vale molto molto di più di quel mezzo voto. Noi in Italia abbiamo in testa il voto, che non serve a niente», ed è importante «solo perché fotografa un piccolo pezzo di quello che siamo». Per questo occorre «rovesciare radicalmente questo criterio, ci vuole un cambio di cultura».

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