
La burocrazia se la cava con una sigla: msna. Potrebbe essere una parola araba, in realtà è l'acronimo di minori stranieri non accompagnati. Quei ragazzini che incroci ai semafori di tutta Italia o nelle stazioni ferroviarie. Cenciosi, soli, puzzolenti, con la mano destra lurida e perennemente tesa alla ricerca di qualche spicciolo. Ragazzini abbandonati alle gang di malavitosi stranieri o delle mafie, che in virtù della minore età li reclutano per lo spaccio di droghe pesanti o altri lavoretti sporchi. Abdel Fattah Zaami, marocchino di Oued Zem, una zona desertica a 200 chilometri a Sud di Marrakesh, era uno di loro.
A 13 anni si intrufola in una carovana di migranti che risale l'Europa dall'Andalusia attraverso Gibilterra. Abdel ha sette fratelli e genitori che faticano a sopravvivere. Racconta la sua vita da adolescente come se parlasse di un'altra persona: “Un tredicenne in Marocco è un uomo a tutti gli effetti”. La sua missione è quella di raggiungere a Milano uno dei suoi fratelli. Lì dovrà darsi da fare per mandare un po' di soldi a casa. Nella zona periferica tra Baggio, Quarto Oggiaro e il parco delle Cave di lavori per un ragazzino immigrato non ce ne sono. Abdel ha due occhi neri che sprizzano intelligenza. I capi dello spaccio ci mettono pochissimo a farne un pusher.
Un mestiere infame che Abdel interpreta a modo suo. Se i suoi clienti tossicodipendenti non possono pagare la coca, lui non gliela nega. E nove volte su dieci recupera i crediti con gli interessi. Per questo i suoi amici gli affibbiano il soprannome di “scanner umano”. I guadagni marciano di pari passo con la sua reputazione. Dopo un anno di spaccio si mette in tasca 9 mila euro al mese. Lo arrestano due volte, ma i caramba sono costretti a rilasciarlo. Ormai parla milanese, Abdel. Nella mala di Quarto Oggiaro è temuto e additato a esempio. Al terzo arresto però scatta il cumulo. Sei anni di carcere, abbassati poi a 2 anni e mezzo. Per Abdul si spalancano le porte del Beccaria, il carcere minorile di Milano. Abdel è troppo furbo per non capire che le regole da quel momento non si possono violare.
Tutto fila liscio finché non arriva il trasferimento ad Airola, il carcere minorile di Benevento. “Una specie di Cayenna rispetto al Beccaria” racconta. A comandare sono i minorenni affiliati ai clan della camorra, in guerra tra loro anche dietro le sbarre. Nel carcere minorile, nell'unica ora di svago, i reclusi hanno a disposizione solo un calcetto e un tavolo da ping pong. Ma i capi dei due clan monopolizzano entrambi. Nel Bronx di Milano Abdel ha imparato a farsi rispettare. Sfida Ciro, uno dei discendenti del clan Giuliano di Forcella, a Napoli, e gli dice che tutti devono poter giocare, con turni e regole condivise, perché al Beccaria si fa così. Ciro gli sferra un cazzotto. E Abdel reagisce spaccandogli la racchetta da ping pong sulla fronte. Sei punti di sutura sulla testa di Ciro chiudono le ostilità. Il minorenne marocchino incassa i complimenti dei secondini che per paura o pigrizia non contrastavano la prepotenza dei piccoli camorristi.
Non dura. Abdel viene trasferito a Nisida, il carcere minorile di Napoli, e lì conosce Lassad, un ragazzo tunisino responsabile della cooperativa sociale Dedalus di Napoli creata da Andrea Morniroli, uno psicologo piemontese di Ivrea che da trent'anni tira le fila del privato sociale a Napoli. Fuori dal carcere di Nisida, il giorno in cui finisce di scontare la condanna, Abdel trova ad aspettarlo Lassad e un altro volontario. “Mi accolsero come se fossi stato un loro fratello, un gesto che non scorderò mai”. La cooperativa Dedalus assegna ad Abdel una casa famiglia, un luogo protetto dove riassaporare la libertà appena riconquistata. Lassad, un ex impresario edile diventato “un cittadino-povero che si batte per i diritti dei migranti”, diventa uno dei suoi amici più fidati. Inizia un percorso che porterà Abdel prima a conseguire un diploma di scuola media superiore e poi a conquistare il ruolo di socio della cooperativa Dedalus.
Un gruppo di 47 persone, di cui 15 ex migranti, che a Napoli strappa dalla strada un centinaio di msna all'anno, minorenni cui assicurano un letto, tre pasti caldi al giorno, un corso di italiano e, spessissimo, un posto di lavoro. La scuola no, perché la legge italiana – come sempre lungimirante - offre una sola chance: lo scambio tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro. Gli Einstein, semmai ci fossero, a noi non interessano. Onoreficenze Andrea Morniroli e Lassad non ne hanno mai ricevute. Peggio: la Regione Campania gli deve dei soldi dal 2007. A ripagarli, per fortuna, sono le traiettorie umane come quelle di Abdel. A trent'anni lo scanner umano è uno degli educatori più apprezzati di questa coop sostenuta dalla Fondazione con il Sud presieduta da Carlo Borgomeo. Tra i compiti di Abdel c'è quello di girare le scuole per raccontare ai ragazzi la sua parabola umana: da reietto spacciatore a maestro di vita. La soddisfazione più grande? Ricevere l'invito ogni Natale dai direttori delle carceri minorili di Airola e Nisida. L'esordio di fronte ai ragazzini incarcerati, molti dei quali immigrati, è sempre lo stesso: “Mai cedere allo sconforto: a 15 anni ero in gattabuia come voi….”.
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