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Ilva, è passato un altro anno e la newco non si è vista

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analisi

Ilva, è passato un altro anno e la newco non si è vista

Non una cosa è andata come doveva andare. Un altro anno perso. Dopo tre anni bruciati. Adesso si approda, con amaro realismo e pragmatica necessità, al modello Lucchini. Un classico delle imprese fallende: di solito, in un meccanismo in cui la partita si gioca su più tempi, l'esito è un ridimensionamento del perimetro occupazionale, una rifocalizzazione attraverso nuove specializzazioni tecnologico-produttive, la cessione degli asset non sempre ad un unico acquirente, qualche volta dunque lo spezzatino a diversi compratori.

Vedremo che cosa succederà all’Ilva, che ha Taranto, ma ha anche Cornigliano e Novi Ligure. L’Ilva è una azienda in amministrazione straordinaria che entra adesso nella classica procedura di aggiudicazione ad evidenza pubblica. Entro il prossimo gennaio dovrebbe uscire il bando per saggiare se qualcuno è o no interessato. Le manifestazioni di interesse dovrebbero pervenire a metà 2016. Il Governo ha stanziato 300 milioni di euro per garantirne, fino ad allora, la sopravvivenza. Le perdite operative sono fra i 20 e i 50 milioni di euro al mese. Fate voi i conti. Questa provvista finanziaria serve ad arrivare – nel peggiore dei casi – al primo passaggio in cui gli eventuali compratori risponderanno al bando che – è prevedibile – cercherà di attrarre il maggior numero di gruppi con una impostazione “plastica” e articolata, basata sulla possibilità di più opzioni. Certo, sembra passato un secolo dalla fine del 2014, quando il Governo annunciava una operazione da due miliardi di euro sull’Ilva e per la primavera la costituzione della newco che avrebbe dovuto rilevarne proprietà e gestione. I due miliardi presumevano che arrivassero gli 1,2 miliardi sequestrati in Svizzera ai Riva, i precedenti proprietari.

Quei soldi non ci sono. La Svizzera li ha negati. Nell’impostazione generata dai suggerimenti del consigliere economico di Renzi, Andrea Guerra, se nessuno fra i big player internazionali (prima di tutto Arcelor Mittal) ha voluto l’azienda, allora facciamo una newco, con Cassa Depositi e Prestiti che mette i soldi e gli imprenditori italiani a fornire il know-how. Nonostante l’attività febbrile del Governo e nonostante l’appeasement raggiunto in estate con la magistratura di Taranto – la variabile giudiziaria ha rappresentato uno dei fattori più radioattivi nei dossier presentati a mezzo mondo da banche d’affari e società di consulenza incaricate da Palazzo Chigi – la newco non ha preso forma. È passato un anno intero. Anche prima – sia con l’impostazione industrialista e visionaria di Enrico Bondi (ricordate il preridotto?) sia con la gestione della quotidianità finalizzata alla vendita di Piero Gnudi, resa definitiva dall’uomo di fiducia di Renzi, il commercialista Laghi – l’Ilva è sempre stata concepita come un tutto unico, con un perimetro preciso, cinque altoforni, una Aia calibrata su un ciclo integrale classico, 11mila addetti diretti a Taranto (16mila in tutta Italia). Adesso, con questa scelta le cose cambiano. O potrebbero cambiare. Nulla vieta che qualcuno faccia una offerta complessiva per l’attuale assetto. Ma perché non l’avrebbe dovuta fare prima? In ogni caso l’ipotesi teorica c’è. Come c’è anche l’ipotesi teorica che, nel susseguirsi dell’iter giuridico, si arrivi ad una pluralità di offerte di diversi soggetti.

Peraltro, l’Aia non più come testo sacro, ma come testo da riscrivere a seconda della offerta (o delle offerte, aggiungiamo noi), parrebbe quasi fare trasparire che il profilo dell’Ilva – non solo dimensionale e quantitativo, ma anche strategico e qualitativo nella sua specializzazione fra produzione e trasformazione – non sia più intangibile. Sono dunque alle viste riduzioni occupazionali? Il classico ciclo integrale, che già marcia a scartamento ridotto con tre altoforni attivi su cinque, diventerà una pagina sui libri di storia? Novi e Cornigliano si separeranno dal corpo malato di Taranto? Lo sapremo nella seconda parte del 2016. Resta una domanda: ma ci rendiamo conto che l’Ilva, in amministrazione straordinaria dal 21 gennaio 2015, prima era una impresa in bonis? A quanto ammonta oggi il patrimonio netto? Di chi è la responsabilità? Seconda cosa: a Taranto servono soldi (fra 1,5 e 2 miliardi di euro) e competenze siderurgiche. Vedremo se Arcelor Mittal, che ha avuto più di una tensione sul mercato obbligazionario, parteciperà o no. Appureremo soprattutto se avrà un qualche effetto la moral suasion del Governo sugli operatori italiani, spesso divisi da storiche rivalità : Marcegaglia e Arvedi, ma anche gli Amenduni, di cui qualcuno a Roma prospetterebbe un coinvolgimento così da evitare la causa miliardaria per esproprio contro lo Stato da parte loro, soci di minoranza dei Riva che non hanno fatto nulla e che hanno perso tutto. Vedremo. Pensavamo, con l’Ilva, di avere già conosciuto tutte le notti. Non era così. D’ora in poi, ancora una volta, si navigherà a vista.