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FraternitàLab, il dialogo tra cristiani e musulmani ai tempi di Papa…

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CHIESA E SOCIETà

FraternitàLab, il dialogo tra cristiani e musulmani ai tempi di Papa Francesco

FraternitàLab. Il marchio di fabbrica di una Onlus di San Polo, a Brescia, che con l'aiuto prezioso di un ex manager giramondo, Francesco Calcagni, insegna a una trentina di ragazzi difficili a smontare e rimontare biciclette («le abilità acquisite sviluppano consapevolezza e autostima») potrebbe essere la stimmate di questo 2016 flagellato da eventi luttuosi. Il massimo del male, dalla carneficina di Parigi alla stragi del Sinai, Ankara e Beirut, senza calcolare i migranti inghiottiti dal Mediterraneo e le vittime (250mila?) della guerra personale di Bashar al-Asad («la machine de mort syrienne», l'ha ribattezzata Le Monde), si è incarnato in uomini in preda a un sortilegio luciferino.

Sembra uno di quei conflitti persi in partenza, e invece a gesti e fatti così eclatanti si contrappone una reazione molecolare che cementa un nuovo protagonismo sociale di cui la Chiesa e i movimenti religiosi di tutte le confessioni rappresentano un catalizzatore ben più potente delle istituzioni laiche. Una secolarizzazione alla rovescia che si potrebbe chiosare nel celebre motto cavouriano:«Libere religioni in libero Stato». Esempi ce ne sono a valanga ma ne vogliano citare solo tre. Partiamo dal basso, cioè dal fondo dello Stivale.

Corrado Lorefice, il sacerdote modicano nominato arcivescovo di Palermo, appena qualche giorno dopo il suo insediamento ha voluto celebrare la sua prima messa da vescovo al carcere dell'Ucciardone. Cita il vangelo di Matteo («Ero in carcere e mi avete visitato») e poi dice con le lacrime agli occhi: «Gesù vi vuole bene, io vi voglio bene. Nessuno di voi è cattivo, siete qui per la durezza della vita». Due giorni dopo, a Piazza Pretoria, la sontuosa sede del Municipio di Palermo in cui troneggia la fontana barocca di Francesco Camilliani, inizia il suo discorso leggendo l'articolo 3 della Costituzione («è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che di fatto limitano la libertà e l'eguaglianza tra i cittadini…»). Poi parla di Peppino Impastato, il giornalista “comunista” di Cinisi ammazzato dalla mafia, figlio e nipote di mafiosi che si ribellò al boss Gaetano Badalamenti. Lorefice, che è stato prete di strada, legge e si commuove. Parole radicali scandite davanti quel palazzo municipale che ospitò sindaci mafiosi come Vito Ciancimino e a pochi metri dall'arcivescovado in cui risiedette un predecessore famoso di Lorefice, il cardinale Ernesto Ruffini, che negò persino l'esistenza di Cosa Nostra.

Qualche giorno dopo a Napoli, esattamente Il 5 dicembre, i parroci dei rioni a forte presenza camorristica – Sanità, Forcella, Quartieri spagnoli, Ponticelli, San Giovanni a Teduccio – chiamano a raccolta il popolo dei fedeli per una manifestazione di protesta contro la camorra. A parlare per tutti è don Antonio Loffredo, il parroco protagonista della rinascita della Sanità che in settembre ha visto morire ammazzato un suo parrocchiano diciasettenne, Genny Cesarano, ucciso da un proiettile vagante dopo l'ennesimo conflitto a fuoco tra esponenti dei clan. Solo due grandi striscioni precedono i duemila partecipanti che muovono da piazza Dante, nel cuore della città. «Un popolo in cammino» e un altro su cui c'è scritto «Verità e giustizia per Genny e tutte le vittime innocenti». Don Antonio dice solo una cosa: «Qui non ci sono leader o capipolo». Pure questa, nella terra dei Masaniello, una piccola rivoluzione. A piazza Plebiscito (e non in piazza Municipio) i parroci salgono in Prefettura e illustrano una serie di richieste. Il prefetto Gerarda Pantalone non si tira indietro e dice con inedita schiettezza: «Napoli è una bomba sociale».

Domenica 13 dicembre, Roma. Durante il primo Angelus dopo la proclamazione del Giubileo della Misericordia, il Movimento dei focolari chiama a raccolta i suoi iscritti e le comunità islamiche di mezza Italia. Anche loro, come a Napoli, si fanno precedere da uno striscione-manifesto: «Cristiani e musulmani costruttori di pace». Il Papa dal balcone di San Pietro saluta l'iniziativa. È una festa sobria e densa com'è tradizione dei focolarini. Ragazzi e ragazze delle due confessioni parlottano amichevolmente tra loro e si scambiano numeri di telefono e indirizzi mail. Due religioni, una comunità. Chiara Lubich, la fondatrice del movimento scomparsa nel 2008, nel corso della sua esistenza fu ospite di gruppi induisti, ebrei, musulmani e buddisti. Nel 2009, nello stato Tamil di Coimbatore, nell'India del Sud, i focolarini organizzarono un incontro di 700 ragazzi di tutte le religioni con i movimenti gandhiani. Non si contano le esperienze di legami interreligiosi nei luoghi più remoti del pianeta: dai discendenti degli aborigeni “calchaquies” nel nord dell'Argentina ai Maori in Nuova Zelanda. È un dialogo fitto, carsico, quasi invisibile che rifugge dagli esibizionismi, si tiene a distanza di sicurezza dalla politica e si fonda sulla conoscenza reciproca e la preghiera. Il massimo del bene contro l'oscenità del male. O, se preferite, la fraternitàLab ai tempi di Papa Francesco.

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