Italia

«Una stretta legislativa sugli incarichi delle toghe»

  • Abbonati
  • Accedi
(none)

«Una stretta legislativa sugli incarichi delle toghe»

  • –Donatella Stasio

Troppe consulenze, troppi incarichi esterni: «Sono maturi i tempi per una stretta legislativa» dice il vicepresidente del Csm, Giovanni Legnini, in questa intervista in cui affronta il tema degli intrecci tra politica e magistratura, fonte di polemiche, come quella recente sul Procuratore di Arezzo Rossi.

«Correttezza, trasparenza, sobrietà, rispetto dei diritti e dei doveri»: secondo il Capo dello Stato è questo che i cittadini onesti «pretendono da chi governa, a ogni livello». La magistratura è in grado di rispondere a questa esigenza?

È un richiamo molto forte che condivido totalmente. Lo leggerei insieme al riferimento diffuso, nel bellissimo discorso del Presidente, alla legalità intesa come attuazione piena dei principi e dei valori costituzionali. Il richiamo al rispetto delle regole da parte di tutti, anzitutto di chi governa le istituzioni, va letto insieme alla necessità di assicurare un’efficace lotta al malaffare, alla criminalità, alla corruzione, all’evasione fiscale, che assumono centralità per restituire fiducia e speranza dei cittadini nelle nostre istituzioni e per consolidare la ripresa del Paese. La magistratura italiana, che il Presidente ha voluto espressamente ringraziare insieme alle forze dell’ordine, è dotata di straordinarie professionalità e capacità per corrispondere a tali prioritari obiettivi del Paese. E tale capacità andrà consolidata nel nuovo anno anche col lavoro straordinario che il Csm è chiamato a svolgere.

Il «caso Rossi» sembra essersi sgonfiato, anche se, a quanto pare, la prova del 9 sarà la decisione del Procuratore di iscrivere altri consiglieri di amministrazione di Banca Etruria alla luce della relazione del liquidatore. Come dire che, se Boschi padre sarà indagato, la credibilità della magistratura è salva; se non lo sarà, rimarranno ombre e sospetti. Un bel paradosso, non crede?

Escludo categoricamente che tale sia la motivazione che ha indotto i relatori della prima commissione ad anticipare una valutazione che sarà definitivamente approvata non prima dell’11 gennaio. Si sono escluse situazioni di incompatibilità alla luce di altri elementi forniti dal Procuratore Rossi. Inoltre, la documentazione della Banca d’Italia che la commissione intende acquisire riguarda le attività pregresse della Procura e non può certo riferirsi a quelle future. Peraltro, il 31 dicembre è scaduto il rapporto di consulenza di Rossi con il Governo e quindi quel che farà o non farà dal 1° gennaio in avanti non potrà essere oggetto di esame nell’ambito della procedura svolta dalla Prima Commissione. Il paradosso che lei ipotizza, dunque, semplicemente non esiste.

Il caso Rossi ripropone il tema degli incarichi extragiudiziari e dei magistrati “fuori ruolo” su cui il Csm ha introdotto una stretta. Fatto sta che ogni volta che la politica vuole il supporto di un magistrato (vedi i casi di Tronca, Cantone, Grasso), il Csm è di manica larga, soprattutto i laici. Non c’è il rischio di fare figli e figliastri?

Ribadisco che abbiamo riformato la disciplina in senso restrittivo, predeterminando presupposti e limiti per l’autorizzazione in modo da ridurre la discrezionalità del Csm. Tali rilevanti novità, varate di recente nel più ampio contesto dell’autoriforma, sono state approvate a larga maggioranza e il peso dei laici è stato rilevante. Non solo. Come chiunque può verificare dai verbali del plenum, la posizione dei laici è in prevalenza opposta a quella che lei descrive: il loro voto si è mostrato coerente con le novità regolamentari di cui ho parlato in precedenza. Spesso, infatti, i consiglieri laici hanno espresso voto contrario o di astensione sulle richieste di collocamento fuori ruolo o di conferimento di incarichi extragiudiziari ai magistrati.

Veramente, nel caso del commissario straordinario di Roma Capitale, Francesco Tronca, che ha voluto come responsabile della propria segreteria tecnica la giudice di Milano Carla Raineri, tutti i laici, tranne Zaccaria, hanno votato in favore del fuori ruolo per sei mesi...

Quell’incarico è stato conferito da un organo tecnico, il commissario della Capitale d’Italia, per un tempo limitato, al fine di procedere a una gestione straordinaria di un ente che ha una sua rilevanza costituzionale, da tempo investito da molteplici indagini giudiziarie e gravato da misure interdittive, nel pieno dello svolgimento del Giubileo e sotto il peso di altre rilevanti emergenze. Ritengo che abbiamo fatto bene ad autorizzarlo.

Contro le toghe in Parlamento c’è stata una vera e propria campagna politica, che ne ha praticamente decimato la presenza e l’apporto specifico. Tuttavia, per giustificare la richiesta di consulenze e collaborazioni, la politica fa leva proprio sulla necessità di avere l’apporto tecnico specifico dei magistrati. Non è quanto meno contraddittorio?

Terrei ben distinte le tre forme di partecipazione alla vita istituzionale del Paese: un conto è l’esperienza che nasce in seguito a un’elezione, su tutte quella parlamentare; un conto è quella cui si accede in base a un incarico fiduciario; ancora diversa è l’attività di collaborazione tecnica. Sull’impegno dei magistrati in politica, com’è noto, abbiamo prodotto una precisa proposta di modifica legislativa rivolta al Governo, che tra l’altro per la prima volta affronta anche il tema degli incarichi di assessore nei governi locali e regionali. Invece, sugli incarichi da svolgere fuori ruolo abbiamo reso più rigorosi i criteri per l’autorizzazione. Dunque, non so se se ne può trarre conferma della contraddizione che lei evidenzia. Quel che è certo è che sono maturi i tempi per un intervento legislativo sistematico che ridisegni i limiti e le condizioni per ciascun impegno istituzionale. Sarebbe un grave errore fare a meno dell’eccellente professionalità dei magistrati italiani ma, al contempo, l’esperienza ci dice che occorrono regole chiare, predeterminate che proteggano anche la percezione dell’imparzialità dell’ordine giudiziario e non solo la concreta indipendenza e terzietà che – è bene ricordarlo - sono valori costituzionali.

Spesso la politica chiede il supporto di un magistrato in quanto garanzia di legalità e di credibilità del proprio agire. Ma questo bisogno di farsi scudo dei giudici non è una sconfitta della politica? Non crede che così la politica si delegittimi, come fu delegittimata dal governo dei tecnici in un momento di grave crisi economica dell’Italia?

Finalmente condivido appieno l’idea che sta alla base di una sua domanda. Anch’io penso che delegare la garanzia di legalità dell’agire politico ai magistrati sia un errore e possa costituire una fonte di delegittimazione per la politica.

Da più di 20 anni la magistratura è alle prese, nel penale, con responsabilità dei politici o, nel civile, con vicende che hanno ricadute economiche anche sul piano politico. Ciò non comporrebbe una specialissima cautela nel chiedere e nell’autorizzare incarichi a supporto della politica?

Assolutamente sì. Certo, molto può essere risolto con nuove regole, come ho già detto. Ma non bisogna mai dimenticare che per tali incarichi c’è chi li conferisce e chi li accetta. Un di più di cautela è ovviamente consigliabile per tutti.

Eppure, certi incarichi vanno a ruba perché sono “medagliette” utili alla carriera. Il Procuratore di Arezzo, ad esempio, ha spiegato di aver accettato la consulenza a Palazzo Chigi perché poteva tornargli utile nel curriculum... Forse bisognerebbe eliminare le medagliette...

È precisamente ciò che abbiamo fatto con la riforma della dirigenza, definendo quali sono gli incarichi che possono essere oggetto di valutazione positiva per il conferimento degli uffici direttivi. E l’elenco di tali incarichi, per lo più di carattere ordinamentale, è stato puntuale e restrittivo. Certi ruoli ricoperti dal magistrato, all’opposto, non solo non attribuiscono titolo per una valutazione positiva ai fini dell’accesso agli uffici direttivi, ma possono persino costituire elementi a sfavore.

Raffaele Cantone è oggi il simbolo per eccellenza della legalità. Un “marchio” che Renzi sfrutta in ogni occasione per tacitare polemiche e sospetti, peraltro forte della serietà e professionalità di Cantone. Ma se e quando Cantone tornerà a fare il magistrato, lei crede che sarà percepito dai cittadini come assolutamente imparziale e indipendente?

Naturalmente questa valutazione la farà il Csm che sarà in carica al momento del rientro in ruolo di Cantone, cioè nel 2020 e, aggiungo, con le regole in vigore allora. Per il resto condivido la sua valutazione sulla serietà e professionalità di Raffaele Cantone, il Paese se ne sta giovando. In termini generali, l’esperienza dimostra che l’incarico di presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione è uno di quei ruoli per i quali è giusto che si possa ricorrere anche a un magistrato.

I costituenti vollero che una parte del Csm fosse di estrazione politica. I laici, quindi, fanno parte a pieno titolo del Csm e hanno la stessa legittimazione dei togati. Eppure, sono vissuti come una componente “estranea”. Pregiudizio, retaggio dell’ultimo ventennio oppure conseguenza di condotte poco trasparenti?

Anzitutto ritengo che l’intuizione dei costituenti si sia rivelata fertile e lungimirante. Senza i laici, il governo autonomo sarebbe assai diverso da quello che è e questo i magistrati lo sanno bene e lo apprezzano. Le accuse, i sospetti di corporativismo sarebbero più veementi e penso che i laici svolgano un ruolo decisivo per allontanare o attenuare i rischi di un governo autonomo autoreferenziale. Certo, dipende anche dal modo in cui la funzione di consigliere viene esercitata e anche dalla speciale e delicata funzione del vicepresidente, di cui non a caso la Costituzione impone la provenienza laica. Penso che il “soffio esterno” – per citare Giovanni Leone ai lavori della Costituente – faccia proprio bene al governo autonomo della magistratura italiana. E i laici di questa consiliatura, dei quali posso parlare, stanno pienamente corrispondendo a tale ispirazione costituzionale.

Da anni si critica il correntismo giudiziario degenerato in lottizzazione ma guai a ipotizzare che analoga logica di appartenenza, in questo caso politica, spinga anche le scelte dei laici. Non le sembra una grande ipocrisia?

Ciascuno di noi è non di rado portatore di una storia politica, di convincimenti personali e risponde dei propri comportamenti. Ciò che posso dirle riguarda la mia esperienza, che credo sia comune a quella di tutti i colleghi laici che siedono oggi al Csm. Non mi sono mai sentito così libero da condizionamenti di ogni genere e indipendente nei miei giudizi e nelle mie decisioni come nell’esercizio di questa delicata funzione costituzionale.

Suvvia, presidente! Non vorrà dire che non ha mai ricevuto pressioni dal governo…

Mai, di nessun genere. E comunque, mai mi sono sentito obbligato ad ascoltare sollecitazioni esterne. Dopodiché, questo non significa che io non lasci spazio alle opinioni di altre istituzioni, di uffici giudiziari, di operatori del diritto. E, anzi, rivendico il dovere di assolvere a una funzione di ascolto e collegamento con le altre istituzioni, garantendo sempre la sintonia con la funzione presidenziale affidata al Capo dello Stato. Se non lo fa il vicepresidente, che è tre volte legittimato dal voto del Parlamento in seduta comune, dal voto del plenum e dalla delega del Capo dello Stato, chi altro deve farlo? Anche così si combatte il rischio che il Consiglio diventi un corpo separato, isolato dagli altri, immerso in logiche autoreferenziali ed esposto a rischi di pressioni esterne.

Eppure, nel Csm si sta vivendo una fase delicata perché molti lamentano pressioni e ingerenze politiche in una serie di scelte: dai pareri, come quello sull’anticorruzione, alle nomine dei vertici giudiziari, da Firenze alla Cassazione...

Mi piacerebbe conoscere chi sono “i molti” a cui lei si riferisce. Comunque, che alcune scelte siano state frutto di pressioni politiche esterne è un’affermazione falsa e chi si spinge a tanto avrebbe il dovere di precisare da dove trae un simile convincimento, anche perché gran parte delle decisioni sono assunte all’unanimità o a larghissima maggioranza. Il che fa presupporre una condivisione piena, frutto di orientamenti autonomi e sereni di ciascuno dei consiglieri nell’esprimere il proprio voto. Vuole sapere qual è la verità sul punto, secondo me?

Dica...

Da qualche tempo spira un venticello denigratorio dall’interno e dall’esterno del Csm su presunte pressioni politiche, che non esistono e non sono mai esistite; questo venticello è alimentato per contrastare il cambiamento che stiamo producendo nel segno dell’autoriforma e dell’apertura al dialogo collaborativo anche con le altre istituzioni. Si può e si deve evitare qualunque ingerenza politica se si esercita fino in fondo la funzione di collegamento con le altre istituzioni, tenendo sempre fermo il principio della piena e totale autonomia delle decisioni consiliari e delle sue finalità dettate dalla Costituzione.

La nomina di Gianni Canzio come primo presidente della Cassazione, però, non è avvenuta all’unanimità come lei auspicava; e durante il plenum con Mattarella si è avuta la rappresentazione plastica di un dissenso di metodo, non certo di merito, esplicitato dai due togati di Area (Aschettino e Morosini) che si sono astenuti denunciando una sostanziale forzatura delle regole. Questo è un fatto...

Rispetto le obiezioni, anche se non le condivido. Mi auguro che le polemiche si superino rapidamente perché a fronte della possibilità di scelte che, per fortuna, il Csm ha compiuto potendo contare su una platea di aspiranti di altissimo profilo, ai vertici della suprema Corte abbiamo nominato due tra i più prestigiosi giuristi italiani: Giovanni Canzio e Renato Rordorf. E tra i magistrati, nell’avvocatura e nell’accademia, registro una grandissima condivisione per quelle scelte. Queste scelte possono costituire un esempio per le altre 250 nomine che ci attendono nel nuovo anno.

© RIPRODUZIONE RISERVATA