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Tu quoque, Zalone? Il posto fisso visto dai giovani

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DAL CINEMA ALLA VITA REALE

Tu quoque, Zalone? Il posto fisso visto dai giovani

Era il 1 febbraio del 2012 quando il premier Mario Monti in un'intervista televisiva definì il posto fisso una noia: “I giovani devono abituarsi all'idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita. E poi, diciamolo, che monotonia”. Subito si scatenarono le polemiche su un tema che esattamente tre anni dopo ritorna alla ribalta grazie alla commedia campione di incassi “Quo vado?” di Checco Zalone. La storia dell'adulto mammone che pur di non rinunciare all'impiego statale, si fa rimbalzare di regione in regione fino ad approdare al Polo Nord, diverte gli italiani che sono corsi in massa a vedere la pellicola – 36 milioni di incasso in pochi giorni-.

Ma il mito del posto fisso esiste ancora? Confrontando diverse ricerche pubblicate da istituti accreditati il lavoro a tempo indeterminato non è da tempo tra i desideri dei giovani che non possono provare né la noia “montiana”, né la nostalgia “zaloniana” per un contratto che difficilmente gli verrà offerto e che comunque non desiderano più. Nell'indagine Bain&Company per i giovani del 2013 su un campione di mille ragazzi ventenni le priorità sono la soddisfazione nel luogo di lavoro (69%), il reddito (52%) e il bilanciamento tra impegni professionali e vita privata. Solo il 37% indica il posto fisso. Carriera e un percorso di crescita raggiunto solo con determinazione, talento e coraggio (senza la spinta di qualcuno, le università prestigiose e voto di laurea con lode che sono in fondo alle opzioni) erano gli obiettivi. Due anni dopo un'altra ricerca conferma questi trend. Sanpellegrino Campus, che ha sondato le aspettative per il 2016 su più di 1.200 studenti tra i 17 e i 25 anni, riferisce che per i più (61%) queste sono legate alla quotidianità: finire la scuola in tranquillità (46%) e prendere una laurea senza badare al voto (58%) -solo per effetto della boutade del ministro del lavoro Poletti?- . L'urgenza per molti (il 38%) è quella di diventare indipendenti economicamente dai genitori orientandosi verso le nuove professioni digitali, (32%): c'è chi sogna di lavorare nei social media (42%) e chi invece di mettersi in proprio e inventare un'app (27%) o una piattaforma e-commerce (23%). I lavori manuali (12%) e il sogno del posto fisso (8%) sono di nuovo in fondo alle preferenze.

I giovani sono molto più realisti e concreti di quanto si pensi e ambiscono a costruire un “portfolio career” piuttosto che fermarsi a una singola esperienza di lavoro sicura e protetta. Con portfolio career si intende quella capacità di combinare insieme diverse esperienze professionali autonome affiancando, nel migliore dei mondi possibili, un percorso di crescita personale, con il plus di poter vivere e operare in luoghi diversi, senza “timbrare il cartellino”. La professione che da' la libertà di lavorare dove e come si vuole non è scelta solo dagli “smanettoni”. Ne parla anche il Financial Times che cita la rapida espansione della società di consulenza Eden McCallum, fondata nel 2000, che offre a profili altamente qualificati contratti part time e super flessibili per rispondere meglio sia alle loro richieste personali sia perché queste si adattano meglio ai ritmi di una economia fondata sull'”on demand”. Un'altra ricerca della società di recruiting Robert Walters del 2015 rivolta ai lavoratori adulti ribadisce questa tendenza. Il 59% dei 6700 professionisti europei intervistati sarebbe disposto a lasciare l'impiego sicuro per un lavoro temporaneo anche per un contratto annuale ma ideale cioè che permetta una migliore qualità della vita e una crescita professionale e salariale. L'unico punto fondamentale dunque è il reddito. Chi si affaccia al mondo del lavoro non pretende postazioni fisse, benefit inutili e straordinari pagati ma chiede una retribuzione adeguata e “on time”, la cui gestione anche contributiva sia più semplice e meno penalizzante (vedi il post di Luca De Biase “Come cambia il lavoro nella on demand economy: freelance,digital labour e altre ambiguità”). Anche Checco Zalone alla fine l'ha capito e si converte alla vita nomade della compagna ricercatrice Valeria, che molto più del protagonista rappresenta i giovani lavoratori italiani (e globali) di oggi.

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