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bloccato il virus letale

L’Oms: ufficialmente finita l’epidemia di Ebola in Africa occidentale

È finita. Ufficialmente finita. Dopo 11.315 morti, 28.637 contagi (di cui 4.767 bambini) , miliardi di dollari di danni alle economie dei Paesi dell'Africa occidentale, e la paura che il mondo intero potesse essere paralizzato dal diffondersi di uno dei virus più letali, l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha dichiarato oggi la fine dell'epidemia di Ebola in Africa occidentale.

Sono infatti trascorsi 42 giorni consecutivi - il doppio della durata dell'incubazione del virus - dall'esito negativo dei test sugli ultimi casi registrati in Liberia, l'ultimo dei tre Paese devastati da Ebola ad essere ancora a rischio. La Liberia, dunque, è virus-free. «Tutte le catene di trasmissione sono state fermate» , ha precisato l'Oms.

Dopo la Sierra Leone, dichiarata “Ebola free” lo scorso 7 novembre, la Guinea - il 29 dicembre -, la Liberia, che ha registrato 4.809 decessi (il numero più alto), ha vinto finalmente la sua guerra contro un nemico così insidioso da sembrare invincibile.

A fine 2014, il periodo più critico, quando si temeva che la pandemia potesse travolgere gli altri Paesi africani e poi colpire oltreoceano, pochi esperti confidavano che si potesse raggiungesse un risultato così importante e in così poco tempo.
Nei periodi peggiori le sbarre invisibili della paura avevano isolato dal mondo intero i tre Paesi. Diverse compagnie occidentali avevano ridotto, se non chiuso, le attività in Guinea, Liberia e Sierra Leone. Il numero dei voli programmati in questi tre Paesi era crollato. Compagnie internazionali del calibro di British Airways, Air France, Kenya Airways avevano, in alcuni periodi, sospeso i voli in Liberia e Sierra Leone.

La prima vittima è stata il turismo. Azzerato. Ma anche il settore minerario, strategico per la Guinea, si era trovato in grandi difficoltà. Anche la compagnia mineraria China Union aveva fermato le sue operazioni.

Il primo caso dell'ultima pandemia era scoppiato nel dicembre del 2013 in Guinea. Poi il virus si è propagato subito dopo in Liberia e in Sierra Leone. In questi tre paesi si è verificato il 99% dei casi registrati. Il virus si era affacciato anche in Nigeria (una sola vittima) e in Mali. Ma i due Paesi hanno dato prova di efficienza e coraggio nel debellare in poco tempo la minaccia. Se la Nigeria, il Paese più popoloso dell'Africa con oltre 160 milioni di abitanti, non ci fosse riuscita, sarebbe stato un disastro.

Gli 11.315 morti e 28.637 contagi - dati ufficiali - sono tuttavia un bilancio che la stessa Oms giudica sottovalutato. Ma è comunque superiore a tutte le epidemie di Ebola che si sono verificate in Africa centrale dal 1976 a oggi. L'ultima aveva fatto tremare il mondo intero. Le immagini delle strade deserte nelle città dell'Africa occidentale, dei cadaveri accatastati fuori dalle cliniche, delle tute speciali che indossavano gli operatori sanitari per proteggersi – simili a quelle degli astronauti – avevano scosso il mondo intero. Era il momento della grande paura. Quando il “Fear factor” - gli esperti lo chiamano così - rischiava di provocare danni maggiori rispetto a quelli diretti, e già gravissimi, provocati dal virus.

Gli esperti e gli specialisti impegnati a combattere l'epidemia sapevano bene che la paura è un morbo altrettanto letale, capace di intaccare anche il sistema immunitario delle economie ben più forti e resistenti. Era già accaduto nel 2002-2003, durante l'epidemia di Sars. In un anno il bilancio fu drammatico: 50 miliardi i danni all'economia mondiale, solo”8mila” le persone contagiate, e meno di 800 quelle decedute.

L'allarme lanciato da David Nabarro, l'inviato dell'Onu per Ebola, nell'ottobre del 2014, non era stato preso alla leggera-- «La diffusione di Ebola è molto rapida, e i casi raddoppiano ogni 3-4 settimane. Il virus non colpisce più solo una zona definita, ma tutta la regione, e la minaccia riguarda tutto il mondo». Fortunatamente, le cose non sono andate come si temeva.

L'Unicef ha accolto con soddisfazione la notizia della fine dei casi di Ebola in Africa occidentale. Ma resta preoccupata per i 23mila bambini di Guinea, Liberia e Sierra Leone che a causa del virus hanno perso uno o entrambi i genitori e la persona che si prendeva cura di loro. Bambini che continueranno ad avere bisogno di assistenza e sostegno.

«Essere riusciti a contenere questa epidemia è per noi una conquista, ma non possiamo dimenticare il terribile bilancio di vittime che Ebola ha provocato in questi Paesi», ha detto Manuel Fontaine, direttore regionale dell'Unicef in Africa occidentale e centrale. «Molte persone continuano a soffrire, in particolar modo quei bambini resi ancor più vulnerabili dal virus».

Più polemica l'organizzazione Medici senza frontiere, probabilmente l'Ong più attiva che ha lavorato indefessamente nei Paesi colpiti curando nei suoi centri 10.376 pazienti di cui 5.226 casi accertati di Ebola. «Oggi è una giornata di celebrazione e di sollievo perché questa epidemia è finalmente finita. Dobbiamo tutti imparare da questa esperienza per migliorare la nostra risposta di fronte a future epidemie e malattie trascurate. La risposta data a questa epidemia non è stata limitata da una mancanza di risorse internazionali, ma dalla mancanza di volontà politica nell'organizzare rapidamente l'assistenza alle comunità. I bisogni dei pazienti e delle comunità colpite devono restare al centro di qualsiasi risposta e prevalere sugli interessi politici», ha affermato Joanne Liu, presidente internazionale di Medici senza frontiere.

Mantenere la guardia, dunque. Perché probabilmente, prima o poi, il virus comparirà di nuovo. Come ha sottolineato il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon. «Nei prossimi anni dobbiamo aspettarci il ritorno dell'epidemia», ha avvertito il Segretario generale, ma l'intensità e la frequenza di tali focolai «si ridurranno col tempo».

Inoltre, quando il morbo colpirà di nuovo, «non riuscirà a danneggiarci come ha fatto questa volta», ha precisato Francis Karteh, capo del dipartimento anti-Ebola delle Nazioni Unite. «Medici e infermieri non la conoscevano. Per questo tante persone sono morte».

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