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Soluzione light per le sofferenze bancarie

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Soluzione light per le sofferenze bancarie

Roma - Sulla creazione anche in Italia di una bad bank, o meglio di un sistema che consenta di sgravare i bilanci delle banche dei crediti deteriorati eredità della crisi, «abbiamo chiesto alla Commissione di fare il più presto possibile». Lo ha spiegato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, in conferenza stampa a Bruxelles. Per il ministro «è importante che quello che sarà probabilmente un meccanismo di garanzia per agevolare il take-off (decollo, ndr) degli scambi sul mercato dei Npl, delle sofferenze» venga messo in piedi, sia «per chiudere un file che va avanti da un po’ di tempo, sia perché è importante che ci sia questo strumento operativo, che completa le misure già prese in termini di procedura e di pulizia dei bilanci delle banche». Stavolta dovrebbe davvero chiudersi il file che va avanti da più di un anno,(lo scambio di carte con la Commissione Ue in campo bancario è stato davvero lungo e costellato di fraintendimenti) attraverso un meccanismo che prevede una garanzia pubblica a richiesta per le banche che attiveranno società-veicolo cui trasferire i crediti deteriorati.

La “soluzione light” per le società di gestione crediti deteriorati dovrebbe riuscire a mettere d’accordo tutti : da un lato si supera l’ipotesi della bad bank unica, con tutte le complicazioni legate allo schema di condivisione degli oneri e le altre pesanti condizionalità previste dalla nuova normativa europea. La bad bank all’italiana lascia al sistema bancario la possibilità di creare numerose società di gestione dei crediti deteriorati, alcune con garanzia, altre senza, perché la par condicio concorrenziale è assicurata dal fatto che la garanzia di Stato si acquista, ha quindi un costo. Al tempo stesso, l’esborso anche potenziale dello Stato è limitato e dunque non si corre il rischio di incappare nella nuova normativa di contabilità pubblica europea secondo la quale quando le garanzie pubbliche sono particolarmente estese vanno considerate tout court come debito pubblico.

Non resta che sperare che davvero il file si chiuda presto, e che un mercato dei crediti deteriorati decolli anche in Italia tenendo presente che della necessità di smaltire rapidamente il fardello di sofferenze (secondo gli ultimi dati di Bankitalia si tratta di 201 miliardi) il Fondo monetario parla da almeno due anni, spiegando che senza un’adeguata pulizia dei bilanci bancari lo spazio per la crescita economica resta angusto.

Di certo, finora la difficoltà di trovare un linguaggio comune con Bruxelles ha avuto anche conseguenze pesanti. Basta andare a rileggere il dossier pubblicato dal ministero dell’Economia alla vigilia di Natale, nel quale si ricorda il caso Tercas. A marzo del 2015 la Commissione Ue aveva aperto un’istruttoria per violazione della disciplina degli aiuti di Stato per via di alcuni interventi realizzati da Fondo interbancario di tutela dei depositi in favore di Banca Tercas, un intervento che aveva permesso di risolvere la crisi bancaria senza coinvolgere i risparmiatori. E la conclusione è stata negativa. Per la Commissione, infatti, poiché il Fitd va considerato una struttura pubblica (con la motivazione principale che i contributi privati delle aziende di credito hanno natura obbligatoria) ogni suo intervento deve essere accompagnato dal “burden sharing” ovvero dal coinvolgimento dei risparmiatori medesimi.

Al momento di definire una soluzione per le quattro banche in default(Banca Marche, Carife Carichieti e Banca Etruria), il governo italiano ha scritto a Bruxelles presentando un piano con l’intervento Fitd più una percentuale di condivisione degli oneri (che però prevedeva un sacrificio per gli obbligazionisti sbordinati molto inferiore a quello che poi si è determinato). Ma anche in questo caso la risposta della Commissione è stata, essenzialmente, “non va bene”, perché a suo parere la nuova normativa europea prevede che il Fondo interbancario possa, sì, agire con le modalità individuate dall’Italia, purché non siano realizzate le condizioni per avviare la banca alla risoluzione. Il risultato della sequela dei “sì, ma” è noto: una procedura di risoluzione per le quattro banche insieme a un conto molto salato per i risparmiatori.