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«Vedremo da che parte sta il popolo»

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«Vedremo da che parte sta il popolo»

ROMA

«Una giornata storica. Grazie a voi e al vostro impegno di questi due anni è stato raggiunto un obiettivo che molti ritenevano impossibile, l’autoriforma del Senato, l’autoriforma della politica».

Matteo Renzi parla in Aula al Senato, dove vuole replicare a nome del governo prima del voto sulla riforma costituzionale che abolisce il Senato elettivo e riscrive il Titolo V della Costituzione. Si tratta del secondo e quindi ultimo e definitivo voto di Palazzo Madama (il secondo voto della Camera si potrà tenere a metà aprile, dopodiché partirà la campagna elettorale per il referendum confermativo di ottobre). Ricorda dove era il Paese due anni fa, quando il suo governo si insediò a Palazzo Chigi con un programma di riforme «straordinario». Il premier e segretario del Pd parla naturalmente ai politici e ai cittadini italiani, ma parla naturalmente anche alle orecchie europee in giorni di rapporti tesi. E non a caso cita la riforma del lavoro («con il Jobs act sono stati creati 500mila posti di lavoro a tempo indeterminato», urla quasi), il taglio della componente lavoro dell’Irap, la riforma della pubblica amministrazione in dirittura d’arrivo con i decreti attuativi, e di certo il Pil che torna a crescere proprio in virtù delle riforme messe in campo e non per «la favola dei fattori esterni».

Quanto alla riforma delle riforme, quella che si attendeva da almeno 20 anni, Renzi torna a metterci firma e faccia. Puntando sul referendum d’autunno noncurante delle accuse di voler fare un plebiscito su se stesso. «In questi anni, cari senatori che avete votato questa riforma, vi hanno urlato dietro: fate le riforme al chiuso delle stanze ma il popolo non è con voi. Bene, andiamo a vedere da che parte sta il popolo su questa riforma. Vediamo se i cittadini stanno con chi scommette sul fallimento o con chi crede nel futuro dell’Italia», scandisce in Aula ribadendo che il referendum di ottobre sarà il suo spartiacque. «Prendo un impegno esplicito: in caso di sconfitta ne trarremo le conseguenze. Se perdessi il referendum considererei conclusa la mia esperienza politica perché credo profondamente nel valore della dignità della cosa pubblica».

Alla fine il Ddl Boschi passa con una maggioranza piuttosto ampia: 180 sì laddove la maggioranza assoluta prevista dalla Costituzione è di 161. Eppure, scorrere bene i tabulati si vede che la maggioranza da sola non ce l’avrebbe fatta: hanno detto sì alla riforma anche 2 senatori di Forza Italia (Bocca Bernabò e Riccardo Villari), 17 verdiniani e 3 esponenti tosiani di “Fare”. Sottraendo si arriva a 158. Anzi 157 se si aggiunge il no del dissidente dem Walter Tocci.

Un risultato sul quale ha certo pesato il mancato voto favorevole dell’ex ministro per le Riforme Gaetano Quagliariello e dei 2 senatori che lo hanno seguito nell’uscita da Ncd. Così come il senatore dem Francesco Russo fa notare che «la maggioranza sulle riforme in Senato è perfettamente autonoma, perché oggi (ieri, ndr) c’erano 5 assenti di maggioranza per motivi di salute o di altra natura, non per scelte politiche». In particolare erano assenti Mario Monti, Renato Turano, Francesco Palermo, Fabiola Anitoni, Paolo Bonaiuti (per non citare il solitamente dissidente del Pd Felice Casson). Ma per la minoranza dem - già sul piede di guerra (come scriviamo qui sotto) sulla legge elettorale per il Senato, applicativa della riforma - l’esame del voto ha un solo significato: la riforma delle riforme passa con i voti indispensabili di Denis Verdini. «Questi risultati aprono la strada a una stagione di trasformismo e annunciano una lunga e profonda palude in cui il Pd non può e non deve smarrire la propria identità riformista di forza di centrosinistra», dichiara subito il bersaniano Miguel Gotor. Accuse da cui Palazzo Chigi non si fa neanche sfiorare: intanto - si fa notare - il voto era sulle riforme e in quanto tale aperto a tutti coloro che le condividono; inoltre i voti di stacco sono 68 e rispetto alla precedente votazione in Senato sulle riforme c’è un voto in più e i voti della maggioranza aumentano. «Il resto sono chiacchiere».

Intanto continua a organizzarsi il fronte del no al referendum confermativo di ottobre. Dopo il comitato di sinistra battezzato alla Camera in occasione del voto dell’11 gennaio scorso, ieri è stato costituito anche quello di centrodestra che vede uniti Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia. Più un terzo organizzato da alcuni senatori centristi. Quanto al M5S, pur essendo contrario alla riforma, per ora ha deciso (saggiamente, chissà) di non aderire a nessun comitato referendario.

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