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Ecco perché la speculazione ha cambiato verso

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Dopo Draghi

Ecco perché la speculazione ha cambiato verso

Alle banche europee e italiane la vigilanza Bce non farà richieste di nuovi accantonamenti né di raccolta di nuovo capitale, oltre a quelle che erano state già avanzate nella valutazione complessiva del settore effettuata nel 2015». Bastano poche parole, a Mario Draghi, per cambiare il destino delle banche italiane colpite nei giorni scorsi dalla bufera di Borsa. Come nel luglio 2012, quando lo stesso Draghi bloccò la crisi dello spread assicurando che la Bce avrebbe «fatto qualunque cosa per salvare l'euro», così ieri il presidente Bce ha letteralmente cambiato le aspettative degli investitori. Il mega-rimbalzo delle banche, seppur iniziato prima che Draghi parlasse, ha dunque una logica ben precisa.

Per capire il +43% di Mps e il +30% di Carige di ieri, bisogna tornare alle aspettative del mercato nei giorni scorsi. Il panico in Borsa era dilagato dopo che «Il Sole 24 Ore» sabato scorso aveva diffuso la notizia - confermata dalla stessa Bce e dalle stesse banche - dell'avvio di un'indagine conoscitiva di Francoforte sul tema dei crediti deteriorati in Europa. Il timore degli investitori era che alle banche più zavorrate dai crediti deteriorati la Bce stesse per chiedere pesanti svalutazioni (cioè perdite) e ingenti aumenti di capitale. La bufera è scoppiata soprattutto in Italia, Paese più fragile da questo punto di vista. Sia perchè da noi il fardello dei crediti deteriorati (pari a 350 miliardi) è tra i più elevati d'Europa. Sia perché a novembre il decreto Salvabanche aveva imposto alla Popolare dell'Etruria e alle altre tre banche in crisi di svalutare i crediti in sofferenza fino al 17,5% del valore nominale: quel decreto aveva insomma imposto perdite alle quattro banche pari all'82,5% sui crediti deteriorati.

Il mercato ha dunque iniziato a temere che la stessa cura da cavallo sarebbe stata presto somministrata alle altre banche. Questo sarebbe stato insostenibile: svalutare in Italia i crediti in sofferenza al 17,5%, significherebbe fare emergere qualcosa come 40 miliardi di perdite nei bilanci degli istituti creditizi. Di questo aveva paura il mercato. E di questo avevano paura gli stessi banchieri, convinti di dover ingerire l'amara pillola delle maxi-svalutazioni. Per questo i titoli di Mps, Carige e di altre banche italiane per tre giorni hanno perso miliardi di capitalizzazione in Borsa.
Ieri però Draghi ha cambiato radicalmente le aspettative. Ha infatti assicurato che la Bce non chiederà nuove svalutazioni, né nuovi aumenti di capitale. «Le banche italiane hanno in media un livello di accantonamenti simile a quello delle banche dell'area euro - ha sottolineato Draghi -. Mi sono consultato con il capo dell'Ssm Danièle Nouy per questa domanda, e alla Vigilanza sono consapevoli che il tema dei crediti deteriorati (npl) richiede anni e che non si possono pressare le banche». «Bisogna gestire gli npl gradualmente».
Insomma, nessuna cura di cavallo. Per i mercati queste parole sono state un autentico «game changer», perchè hanno eliminato un importante elemento di incertezza. Ridurre il rischio di accantonamenti significa tranquillizzare gli investitori sul fatto che sui futuri bilanci non peseranno ulteriori svalutazioni. Questo, a catena, potrebbe fare da propellente al risiko bancario, perchè rende più facilmente prevedibili i bilanci e quindi i rapporti di forza tra gli istituti. Forse, pensa qualcuno, le svalutazioni si renderanno comunque necessarie per permettere agli istituti creditizi di vendere i propri crediti in sofferenza alla futura «bad bank». Ma questa è un'altra storia. Nel frattempo la speculazione, che fino a mercoledì era ribassista, ieri si è accodata al rialzo.
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