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Dia: cosche investono in Africa e Medio Oriente

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Dia: cosche investono in Africa e Medio Oriente

  • –Roberto Galullo

Medio Oriente o Africa, per le mafie poco cambia. Purché ci sia da riciclare e buttarsi negli affari. L’utilizzo delle società con capitali “ibridati” - vale a dire imprenditoria mafiosa o sua diretta emanazione - diventa il momento chiave che consente all’organizzazione criminale di affacciarsi sul mercato internazionale, con il coinvolgimento di Paesi offshore o dei cosiddetti paradisi fiscali, con finalità di riciclaggio o di reinvestimento di proventi illeciti. La logica conseguenza è l’accumulazione di ingenti patrimoni mobiliari e immobiliari attraverso intestazioni fittizie.

Lo certifica la relazione sul primo semestre 2015 che il direttore della Dia (la Direzione investigativa antimafia) Nunzio Antonio Ferla ha appena consegnato al Parlamento. «Le mafie nazionali hanno assunto la morfologia caratteristica dei gruppi societari internazionali - si legge nelle conclusioni della relazione - che attraverso una capogruppo, con il centro decisionale idealmente collocato nei luoghi d’origine, controllano e dirigono secondo un disegno unitario, molteplici business criminali, sempre più interdipendenti».

Per testimoniare la continua ricerca di nuovi mercati di sbocco, collegati come i vagoni di un treno, la Dia cita il caso di un imprenditore di Alcamo (Trapani), già condannato in via definitiva per associazione mafiosa, che per sfuggire al sequestro dei beni da tempo aveva esportato non solo ingenti somme di denaro in diversi Paesi del Medio oriente ma, grazie all’aiuto di un professionista, aveva avviato attività commerciali in Oman, fittiziamente intestate a terzi. «La connotazione transnazionale della criminalità organizzata si manifesta sotto forma di presenza, stanziale o episodica – spiega infatti la relazione – di soggetti collegati o contigui ad ambienti mafiosi, che si mimetizzano nel contesto di riferimento dove vivono e operano in condizioni di apparente legalità. Questi raggruppamenti costituiscono una rete di protezione e mutuo soccorso pronta ad attivarsi in tutti quei casi in cui è necessario supportare una latitanza, garantire una copertura oppure delocalizzare alcune attività criminali e no». È significativo – ricorda la Dia nella relazione spedita alle Camere – che il 13 aprile 2015 sia stato catturato in Marocco uno tra i 100 latitanti più pericolosi e ricercati in Italia dal 2010, Marco Torello Rollero, che viene ritenuto da investigatori e inquirenti uno dei referenti per la ’ndrangheta per il narcotraffico internazionale, ma che nel passato avrebbe collaborato anche con Cosa nostra.

Gli affari, insomma, cementano alleanze trasversali tra mafie, all’interno delle quali appare logico anche un codice di protezione comune dentro i confini patri ma soprattutto fuori, proprio laddove si spostano ormai da anni i capitali da investire. L’Italia, è la conclusione obbligata, sta sempre più stretta a Cosa nostra, ’ndrangheta e Casalesi, al punto che gli analisti della Dia si spingono a scrivere che «emerge un tratto saliente e sempre più rappresentativo del fenomeno mafioso unitariamente inteso: la volontà di contaminare, in svariate forme, l’economia reale e finanziaria, in questa ottica evidentemente complementari l’una all’altra».

.Guardie o Ladri

roberto.galullo.blog.ilsole24ore.com

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