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No a trionfalismi ma finalmente si torna a parlare di «qualità»

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il nuovo anno giudiziario

No a trionfalismi ma finalmente si torna a parlare di «qualità»

«Quello che mi piace del diritto è che ogni tanto...non sempre, ma a volte..., diventa parte integrante della giustizia applicata alla vita. E quando avviene, è un’esperienza davvero eccitante». Le parole dell’avvocato Andrew Beckett (interpretato da un bravissimo Tom Hanks) nell’indimenticabile film Philadelphia (Usa, 1993), ben si prestano a descrivere il senso della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione.

La “crisi” della giustizia, testimoniata dai pessimi dati sulla Cassazione, l’organo che in base alla Costituzione deve garantire l’esatta e uniforme interpretazione del diritto, rende l’esperienza del diritto che si fa giustizia del caso concreto ancora oggi un’aspirazione, più che una realtà. E tuttavia, dopo anni trascorsi quasi esclusivamente a discutere di numeri, leggi ad personam, scontri istituzionali, inerzie legislative, oggi si può cominciare almeno a ragionare di quel salto di “qualità”, tanto indispensabile in uno Stato costituzionale di diritto quanto aleatorio nella nostra esperienza di giustizia.

Non tutto è cambiato, ma molto è cambiato o sta cambiando: sicuramente il clima, meno infuocato, e forse anche le misure adottate e in cantiere, alcune lacunose, in qualche caso ambigue o solo annunciate, di sicuro poco appetibili mediaticamente, ma non per questo poco feconde, sia pure in tempi medio-lunghi. I dati «positivi» forniti dal ministro della Giustizia non consentono trionfalismi ma indicano una tendenza che comunque fa sperare nel futuro. Questa consapevolezza consente di ragionare di giustizia anche in termini di qualità, e di elaborare una visione, un progetto. Un’idea comune, insomma. Che è poi quella che - almeno a parole - ieri sembrava attraversare gli interventi di Canzio, Orlando, Legnini, Ciccolo, Mascherin, nell’aula magna del Palazzaccio. Comune anche nel richiamo a serrare le file, perché il futuro è adesso o, per dirla con le parole di Goethe citate da Canzio, «Finché dura il giorno vogliamo tenere alta la testa; e tutto quello che potremo produrre, noi non lo lasceremo fare a quelli che verranno».

Il salto di qualità riguarda la politica giudiziaria, la legislazione, l’interpretazione della legge, l’organizzazione e gestione degli uffici, la formazione professionale dei magistrati, l’autogoverno. Non è un salto mortale o senza rete, proprio perché sembra esserci un’inversione di tendenza anche nella visione della giustizia, intesa anzitutto come terreno di garanzia - in Italia e in Europa -, luogo in cui cittadini e imprese debbono trovare una risposta efficiente ed efficace, ma sempre nel rispetto dei principi dello Stato di diritto.

Occorre, dunque, una legislazione penale che non sia né simbolica né populista né emergenziale né tanto meno ambigua. Occorre poi una magistratura moderna, capace di conciliare professionalità, etica, responsabilità, e che, come ha detto Orlando, «non si sottragga» ai cambiamenti della società, perché la presunta «supplenza» si verifica quando è la politica a sottrarsi a quei cambiamenti. Come spesso accade.

Occorrono soluzioni che, per dirla con Mascherin, «evitino di incoraggiare un percorso di privatizzazione della giustizia o che ne selezionino l’accesso attraverso il censo». Ma occorrono anche avvocati a prova di deontologia, competenza e specializzazione professionale per «garantire alla giurisdizione un apporto tecnico corretto e di grande qualità» per trovare con la magistratura soluzioni «da mettere a disposizione del Paese».

Occorre che il ministro della Giustizia garantisca la copertura del personale, di magistratura e di cancelleria, che il Csm assicuri trasparenza e rapidità nella scelta dei dirigenti, la formazione continua dei magistrati nonché riposte efficaci e tempestive ai comportanti «opachi e anomali» della magistratura, per non intaccare credibilità e fiducia giustizia, come ha rilevato Legnini. Occorre un Parlamento consapevole di quanto sia fertile il terreno della corruzione per le organizzazioni mafiose che, lo ha detto Ciccolo, «oggi più che mai sono soggetti con forte vocazione imprenditoriale e capacità di partnership economica, prima ancora di essere un fenomeno criminale». E quindi occorre prendere atto che un’efficace lotta alla corruzione passa anche per una riforma strutturale della prescrizione, sull’esempio di altri Paesi europei, senza scorciatoie demagogiche come l’aumento delle pene, storicamente inutile, come dimostra anche l’alta percentuale di furti impuniti, nonostante l’ennesimo inasprimento delle sanzioni.

La strada è lunga e non in discesa. Ma la prospettiva di poter fare l’esperienza quotidiana del diritto che si fa giustizia nel caso concreto è «eccitante» e forse è più vicina di quanto sembri, se alle parole ascoltate ieri seguiranno comportamenti coerenti di chi le ha pronunciate.

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