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Corruzione, meno penale e più semplificazione

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l’intervista

Corruzione, meno penale e più semplificazione

La corruzione è «a livelli molto elevati» ma «certi aggettivi roboanti» rischiano di far credere che «il sistema corruttivo ha ingoiato tutto e non ci sia più nulla da salvare». La prescrizione è «una mina sotto i processi per corruzione» e quindi «bisogna intervenire». Ma «che senso ha accertare una corruzione di vent'anni fa? L'allungamento dei termini, da solo, non può bastare».

Raffaele Cantone, magistrato, da due anni presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, commenta quanto è emerso sulla corruzione dalle cerimonie di inaugurazione dell'anno giudiziario.

Presidente, ovunque la corruzione è stata raccontata come un fenomeno tutt'altro che in diminuzione. I vertici giudiziari romani hanno parlato di un fenomeno «che ha superato il livello di guardia, per intensità e pervasività, e che investe ormai tutti i settori della collettività». Allarmismo o drammatica realtà?
Non considero affatto queste dichiarazioni di per sé allarmistiche. Sono convinto anch'io che il livello di corruzione nel nostro Paese sia molto elevato e che in alcuni settori raggiunga livelli di pervasività molto alti. Lo dimostrano alcune vicende apparentemente minori, che forse fanno meno presa sull'opinione pubblica ma sono un campanello d'allarme molto chiaro. Mi riferisco, ad esempio, all'arresto quasi in flagranza di un dipendente del comune di Roma a settembre 2015 per una mazzetta di 2mila euro. La vicenda è avvenuta in un momento in cui il municipio romano aveva gli occhi di tutto il mondo puntati addosso e questo signore trovava normale continuare a prendere tangenti! Così come molto allarmante è stata l'indagine sull'ANAS, che ha dimostrato come pezzi consistenti di alcuni uffici, anche strategici di quell'ente, fossero divenuti vere centrali delle mazzette. Allo stesso tempo, però, l'utilizzo di certi aggettivi, sempre più roboanti, rischia di produrre l'effetto opposto: fa pensare che il sistema corruttivo abbia ingoiato tutto e che non ci sia più nulla da salvare. E questo non è condivisibile né vero perché, fra l'altro, non è supportato da alcun dato numerico visto che non esistono indicatori attendibili di corruzione. Né rende giustizia a chi la corruzione la combatte, a volte, anche nella stessa amministrazione. L'emersione di un fatto corruttivo non è spontanea e casuale ma conseguenza di un lavoro messo in campo per contrastare il malaffare ed è la dimostrazione di anticorpi che pure in piccola parte funzionano.

Se, però, la situazione è quella emersa dalle cerimonie sul nuovo anno giudiziario, quali riflessioni vanno fatte sull'azione di contrasto? Bisogna dire che la semina di questi ultimi anni, sia sul fronte della prevenzione che della repressione, è stata inadeguata? Oppure, che i frutti si raccoglieranno solo nel lungo periodo?
Sarebbe stato un miracolo se in tempi così brevi le nuove strategie di contrasto, preventivo e repressivo, avessero già funzionato. In questo campo non esistono miracoli, purtroppo. Dopo anni in cui il fenomeno corruzione è stato sottovalutato e dimenticato, in cui si predicava che l'illegalità e la criminalità erano divenute un sistema con cui imparare a convivere, in cui si esaltavano come furbi coloro che “a qualunque costo” arrivavano al risultato, un'inversione di marcia - che oggettivamente c'è stata - non può avere effetti nel breve periodo. Chi vuole tutto e subito o è un illuso o, in qualche caso, non è in buona fede; agita questa bandiera perché vuole che si ritorni allo status quo ante. Io non so dire quanto tempo ci vorrà, non ho la palla di vetro. Ma ho una certezza che non è frutto di un ottimismo di facciata: se si lavora a prescindere dalle emergenze, i risultati arriveranno.

Secondo il Parlamento europeo, la corruzione «non è soltanto un reato contro la pubblica amministrazione ma è uno dei più gravi reati contro l'economia». Tutte le istituzioni internazionali ne segnalano la gravità anche per la tenuta democratica degli Stati. In Italia qualcosa si muove ma la politica è sorda sulla prescrizione, cerca scorciatoie come l'aumento delle pene invece di misure strutturali e si divide su quelle misure, peraltro vigenti in quasi tutti i paesi europei, che certo non sono antidemocratici. Perché?
Sono convinto anch'io che la corruzione non sia più un reato soltanto contro la Pa ma contro il sistema economico, che mortifica la concorrenza, non favorisce la ricerca e provoca fuga di cervelli. Lo riconoscono ormai tutti gli studiosi internazionali. In questo senso, l'incapacità di un momento repressivo che funziona è certamente molto dannosa e la prescrizione è oggettivamente una mina sotto i processi per corruzione. Anch'io ho perplessità sulla logica dell'aumento delle pene, che finisce per squilibrare un sistema di valori che sta dietro le sanzioni. Bisogna senz'altro intervenire sulla prescrizione, ma in modo che non renda i processi interminabili. Che senso ha accertare una corruzione di vent'anni fa? L'allungamento dei termini, da solo, non può bastare; finisce per lasciare sia la società che l'interessato in una situazione di incertezza che non fa bene a nessuno.

L'ultimo Report di Transparency sulla corruzione “percepita” rivela che l'Italia ha guadagnato un posto nella classifica mondiale ma resta sempre a livelli di terzo mondo. Sulla percezione come indice di misurazione della corruzione ci sono polemiche e scetticismi politici. Epperò, se si tratta di altri reati, come l'immigrazione clandestina, i polemici e gli scettici cavalcano proprio la percezione (in questo caso, di insicurezza) per opporsi alla depenalizzazione. Due pesi e due misure?
Anzitutto è vero: quello dell'Italia è un piccolo passo in avanti. Otto punti guadagnati sono pochi soprattutto se si guarda la posizione in Europa: siamo penultimi. È la prima volta, però, che c'è una piccola ma significativa inversione di tendenza, che non va sottovalutata, anche perché arriva in un momento in cui si parla molto dei gravi fatti di corruzione ed è noto che il parlare può incidere sulla percezione del fenomeno. Nonostante lo scetticismo per quella che resta pur sempre una sensazione, è però evidente che, se i cittadini percepiscono una forte presenza di corruzione, vuol dire che hanno scarsa fiducia nell'amministrazione, e questo non è un buon segno. Quanto all'immigrazione clandestina, la penso come il primo Presidente della Cassazione: è un reato inutile e persino controproducente. Se l'abolizione può far aumentare la percezione di insicurezza, lavoriamo per spiegare davvero perché quel reato non serve.

La cronaca registra quotidianamente uno o più casi di inchieste di corruzione, in ogni settore della vita pubblica e privata. Evidentemente c'è un diffuso senso di impunità: secondo lei, corrisponde alla realtà oppure c'è un delirio di immoralità?
C'è sicuramente, nel calcolo costi/benefici, qualcosa che spinge comunque le persone a continuare a prendere mazzette. Non so se sia senso di impunità, ma certamente c'è anche il senso di una non grave percezione sociale del fatto. Si fa ancora fatica a dire che chi accetta o paga sia un delinquente che commette un fatto grave! Credo che anche il cambiamento di questa mentalità possa essere un deterrente utile. Chi commette questo tipo di reati è spesso un colletto bianco e nei suoi confronti conta moltissimo la reputazione nel contesto in cui vive.

Lei insiste sulla necessità di combattere la corruzione partendo «dal basso», stimolando la reattività civica. E tuttavia, lei stesso rileva che i tantissimi esposti che vi arrivano sono quasi tutti anonimi. Vigliaccheria? Paura? O il timore che prepotenza e arroganza si ritorcano contro?
Per questo il lavoro è molto lungo: se non c'è fiducia da parte dei cittadini, è tutto più difficile, non si crea quella rete di controllo sociale che funziona nelle democrazie mature. Però la fiducia dei cittadini non si conquista con le parole - tutti siamo bravi a dire parole forti e chiare - ma con i fatti, che sono più difficili da mettere in campo. Ma questa è la strada: lavorare per recuperare la fiducia dei cittadini. In questo senso è fondamentale, più che parlare, agire e dimostrare concretamente quello che si fa.

Se lei fosse legislatore, che cosa proporrebbe per rendere il contrasto alla corruzione più efficace sul piano preventivo e repressivo?
Toccherei il meno possibile il penale. Interventi mirati sull'efficienza del sistema, soprattutto processuale, e mi concentrerei su un grande lavoro di semplificazione e di sempre maggiore chiarezza delle regole della Pa. Se so quali sono i miei diritti e qual è la strada per ottenerli, non ho bisogno di utilizzare vie traverse. E poi scommetterei sulla Pa, sulla parte buona, che aspetta solo di essere valorizzata. Sono cose difficili da tradurre in slogan accattivanti, ma sono certo che sarebbero più utili per vincere il malaffare.

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