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Talento sprecato: perché mismatch e lavori sotto-qualificati…

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incrocio tra domanda e offerta

Talento sprecato: perché mismatch e lavori sotto-qualificati «bruciano» la produttività degli under 30

I candidati giusti, nel posto e al momento sbagliato. L'Italia si conferma uno dei paesi Ocse con il più alto tasso di skill mismatch, la mancata corrispondenza tra competenze dei candidati e requisiti richiesti sul mercato del lavoro. Un problema di qualità, oltreché di quantità: la Penisola è tra i pochi mercati su scala Ocse a registrare una quota elevata sia di under 30 sotto-qualificati (under-skilled, seconda posizione) che sovra-qualificati (over-skilled, settima), creando un doppio squilibrio che riduce il potenziale e deprime la produttività di una delle fasce anagrafiche più preziose.

Il dato è emerso in occasione del lancio del progetto Bocconi-JpMorgan Chase Foundation «New Skills at work in Italy», una ricerca triennale per «contrastare lo skill mismatch» e le sue conseguenze sul futuro lavorativo delle nuove generazioni. Ma quanto ci costa oggi il fenomeno? E perché le vittime sono soprattutto neolaureati e professionisti sotto i 30 anni?

Il mismatch assorbe un lavoratore su tre
La mancata combinazione di competenze e requisiti incide, secondo dati Ocse, su oltre il 30% dei lavoratori italiani: uno standard che supera di più del 10% la media di paesi come Danimarca, Svezia e Paesi Bassi. La nostra particolarità? In genere il mismatch è alimentato da una proporzionalità inversa tra overskilling e underskilling: se è alto il livello di lavoratori sovra-qualificati, sarà basso quello dei lavoratori sotto-qualificati, con scarti che possono raggiungere il 20%. In Italia viaggiano sopra la media sia l'uno che l'altro, con ripartizione pressoché identica (rapporto di circa 18%-15%) e bilancio finale da allarme: un lavoratore su tre, contro la media di neppure un lavoratore su cinque che si registra in Nord America e Scandinavia. «Con un mismatch di queste proporzioni da entrambe le parti, perdiamo produttività. Ma d'altro canto non c'è un sistema capace di assorbire le risorse con le condizioni adatte» spiega al Sole 24 Ore Fabiano Schivardi, ordinario al dipartimento di Finanza della Bocconi e membro del team di ricerca nel progetto in partnership JpMorgan Chase Foundation.

Quel 10% di efficienza “intrappolata” nel lavoro che non fa per sé
A quanto ammonta lo spreco? Le ricerche preliminari dell'indagine evidenziano macro-conseguenze come disoccupazione giovanile di lungo periodo e il freno a crescita di produttività e Pil: l'Italia ha perso, in 17 anni, l'equivalente di oltre 20 punti percentuali di crescita rispetto alla media europea e di oltre 35 rispetto agli Stati Uniti. Se restringiamo il campo al solo problema dell'allocazione delle risorse, può bastare quanto è emerso da una ricerca Ocse («Skill mismatch and public policy in Oecd countries») a firma di Müge Adalet McGowan and Dan Andrews. Se l'Italia riducesse il suo mismatch ai livelli delle best practice internazionali, otterrebbe un guadagno del 10% nell'efficienza delle allocazioni e – per conseguenza – nella produttività dei lavoratori. La spinta potrebbe essere assestata proprio dagli under 30, risorsa depotenziata da instabilità e condizioni contrattuali insufficienti rispetto alle qualifiche maturate. Vediamo perché.

Se le qualifiche sono un freno
È la stessa ricerca Ocse a stabilire che i giovani sono più inclini a un livello di sovra-qualifiche rispetto a chi li ha preceduti. Il fenomeno ci è spiegato da Antonella Trigari, docente associato al dipartimento di Economia della Bocconi e ricercatrice Igier: la scarsità di offerte adatte per livello di qualifiche e condizioni contrattuali, stipendio incluso, “incastra” i giovani in funzioni limitanti rispetto al curriculum. I casi sono noti: retribuzioni inferiori alla media europea, mansioni riduttive, “girandole” di contratti che interrompono la continuità dei candidati interessati alla crescita in una società. «Molti, per ottenere la stabilità di un contratto a tempo indeterminato, si trovano costretti ad accettare impieghi con qualifiche inferiori a quelle che potrebbero offrire – dice Trigari - E diventano così, di fatto, over-skilled».

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