Siamo sempre più numerosi noi, genitori di tanti Valeria Solesin e Giulio Regeni. Ed è un bene per l'Italia, anche se a volte, molto raramente, qualcuno dei nostri ragazzi non torna più a casa. Giulio aveva deciso di andare in un luogo più pericoloso, anche se nulla al Cairo giustificava una fine così. Valeria era solo a Parigi, un'ora d'aereo da casa, difficile immaginare una città più europea. Il primo stava andando a incontrare amici, la seconda a sentire musica con amici al Bataclan.
Ma non è questo il punto. Nessun luogo è pericoloso e tutti lo sono, ormai. Ma nessun pericolo può fermare questi giovani, i nostri figli, dal conoscere il mondo, viverci, imparare le lingue, soddisfare una curiosità vorace della quale dobbiamo essere orgogliosi, non spaventati, noi genitori. Ci sono ragazzi che non sono interessati a nulla e ragazzi, i nostri, che vogliono sapere tutto; che coltivano ancora la prerogativa più bella di un giovane: la passione.
Vancouver, Londra, Parigi, Cairo, Città del Capo, Dacca, Buenos Aires, Nairobi, Shanghai. Come Valeria e Giulio, i nostri ragazzi non partono più per necessità - anche se molti cercano lavoro - ma per curiosità. Non fuggono, se ne vanno da casa per scelta, per saperne di più, per essere migliori. Qualcuno ha cercato una definizione: «Generazione Erasmus», ama chiamarli Matteo Renzi. È una buona sintesi perché quel programma inizialmente solo europeo è stato il motore di avviamento di questo processo di globalizzazione reale. Ma ormai è molto di più. È aver chiarito a se stessi che non c'è luogo migliore di quello in cui sei nato e cresciuto, ma che non sei nato solo per capire questo.
Non sempre è facile per i nostri figli raggiungere quello che cercano. E non solo per motivi economici, perché ormai c'è più di un'organizzazione che aiuta le famiglie svantaggiate. Più di un lettore avrà avuto l'esperienza del colloquio col professore liceale contrario all'idea che un suo allievo vada a vivere l'esperienza del quarto anno in una scuola all'estero. «Ma io devo far rispettare il programma», ci sentivamo spesso dire fino a qualche tempo fa, quando molti docenti non conoscevano l'esistenza di una legge al riguardo. Come se un'esperienza in un mondo diverso e lontano non facesse maturare un giovane quanto un programma ministeriale, pur necessario.
Tutti noi genitori ci auguriamo che i figli prima o poi tornino: non tanto a casa in senso stretto, quanto in Italia, a rendere migliore con la loro esperienza questo Paese. Lungo il loro cammino, Valeria e Giulio hanno incontrato chi glielo ha impedito. La cosa peggiore che potremmo fare nel rispetto del loro sacrificio e della loro memoria, sarebbe pensare che il mondo è un luogo pericoloso. Lo è, in effetti. Ma non abbastanza per fermare i nostri figli.
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