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A Milano vittoria di Renzi e del «partito del premier»

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Le primarie del centrosinistra

A Milano vittoria di Renzi e del «partito del premier»

Le primarie milanesi, con un’affluenza che in tarda serata appare abbastanza in linea con quella del 2010 e con lunghe file ordinate di cittadini ai gazebo ben oltre l’ora di chiusura stabilita alle 20, sono già di per sé un successo per il Pd di Matteo Renzi. Un Pd che - più che il paventato “partito della Nazione”, ormai un topos usato dalla minoranza interna soprattutto a fini di battaglia congressuale verso le primarie nazionali del 2017 - si sta sempre più modellando sulla figura del segretario e premier.

Un “partito del premier”, insomma, sull'esempio delle grandi democrazie anglosassoni. E la vittoria di Giuseppe Sala, ex presidente Expo ed estraneo alla storia del Pci-Pds-Ds da cui vengono gli altri candidati a sindaco per il dopo-Pisapia, è di fatto un successo personale di Renzi che fin dall’inizio ha puntato tutte le sue fiches su di lui per la guida della capitale economica e “morale” del Paese (per usare un’espressione del presidente Anac Raffaele Cantone).

Una personalità, quella di Sala, che guarda evidentemente all'elettorato moderato ma che, con lo strumento non rinnegato delle primarie, tiene dentro anche tutto il perimetro del centrosinistra classico. Un voto moderato verso il quale bisogna smettere di essere «schifiltosi», come rimarca lo stesso Renzi che ieri ha partecipato a Roma al primo week end di formazione politica della nuova scuola di partito. Voto moderato senza il quale, come a suo tempo ammoniva il leader post-comunista Massimo D'Alema, in Italia non si vincono le elezioni. «Chi fa lo schifiltoso con i voti perde le elezioni, dovremmo imparare dalle nostre vicende», dice Renzi liquidando la polemica sul nulla, quella inscenata dalla sinistra interna sul “partito della Nazione”. «Io devo cambiare l’Italia, non ho tempo da perdere dietro a chi cerca i fantasmi. Noi dobbiamo scommettere sul coraggio e non sulla paura di chi cerca fantasmi - dice parlando ai ragazzi della scuola politica -. Quello sul partito della Nazione è il dibattito più assurdo mai fatto. Non ne parlo perché se qualcuno dice c'è un fantasma in casa, tu non vai a cercare il fantasma».

Certo, Milano non è il resto d'Italia. La buona amministrazione del sindaco uscente Giuliano Pisapia, oltre al nome di Sala, rendono la corsa alla riconquista di Palazzo Marino relativamente tranquilla e scontata per il Pd di Renzi. Così non è nelle altre grandi città chiamate al voto a giugno. Ossia Roma, commissariata e dopo gli scandali di Mafia Capitale e la vicenda Marino, e Napoli, dove il Pd parte già all’opposizione del sindaco uscente Luigi De Magistris. Ecco, al Sud il “partito del premier” stenta a conquistare spazio tra le lotte dei vecchi potentati locali: la candidatura alle primarie del 6 marzo di un personaggio come Antonio Bassolino, già sindaco di napoli e governatore della Campania di un’altra e ormai antica stagione, la dice lunga sulla difficoltà di portare il rinnovamento renziano sul territorio. Ed è anche un segnale non di poco conto che a contendere la candidatura a Bassolino i renziani abbiano schierato una che renziana non è affatto, e che anzi ha una formazione politica per così dire bassoliniana: la deputata campana Valeria Valente.

Tutta in salita anche la corsa a sindaco nella Capitale, dove il M5S è in testa in tutti i sondaggi e dove il Pd è ridotto ai minimi storici. Le primarie si annunciano in salita per il candidato renziano, Roberto Giachetti, che pure avrebbe le caratteristiche per erodere voti ai grillini: a contendergli la candidatura sarà il 6 marzo un uomo come Roberto Morassut, storico dirigente romano del partito e appoggiato da due ex leader quanto mai lontani tra di loro come Walter Veltroni e Pier Luigi Bersani. Si capisce perché Renzi abbia preso per tempo le distanze dalle amministrative di giugno («si scelgono i sindaci e non il premier né il segretario del Pd») puntando tutto sul referendum confermativo sulla riforma del Senato e del Titolo V previsto per l’autunno.

Ma intanto Milano è stata messa in sicurezza. E lo strumento delle primarie continua a dimostrarsi vincente, al di là delle polemiche ricorrenti sui cinesi ai gazebo (ed è curioso che questa volta l’attacco non sia partito dall’interno del Pd e del centrosinistra come nel caso Cofferati in Liguria ma dal leader del Movimento 5 stelle Beppe Grillo, che le primarie non le ha mai neanche messe in conto).

Dalle primarie, in fondo, è nata e cresciuta la leadership di Renzi. E sulle primarie sembra ora voler puntare il premier per portare avanti la battaglia delle battaglie, quella contro l’austerità di Bruxelles e l’egemonia tedesca in Europa (una battaglia, va notato, che sta portando consensi al Pd secondo gli ultimi sondaggi e che ha quasi messo a tacere gli antieuropeisti nostrani, e anche questo naturalmente fa parte della campagna elettorale per le amministrative vista da Palazzo Chigi): «Per scegliere il prossimo presidente della Commissione europea come democratici italiani chiederemo le primarie, perché non se ne può più della tecnocrazia che non sa dove sta la relazione con la gente», è l'ultima suggestione renziana lanciata proprio ieri.

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