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Negli atenei le entrate calano del 15%

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Negli atenei le entrate calano del 15%

  • –Gianni Trovati

La spending review nell’università non è solo materia di corsi e convegni, ma negli ultimi anni ha rappresentato una presenza sempre più costante nelle scelte gestionali degli atenei: lo dicono i numeri, dai quali emerge il panorama di un settore in pesante crisi di risorse, che nel suo complesso ha però provato a difendere il livello di servizi e prestazioni.

Le cifre in gioco

I numeri, quindi: tra il 2010 e il 2015 le università hanno perso quasi il 15% delle proprie entrate strutturali e hanno sforbiciato dell’11,5% le uscite. I tagli, ed è questo l’aspetto più qualificante, si sono scaricati in particolare sulle spese per il personale, che sono state schiacciate dal blocco degli scatti e dai vincoli al turnover, e hanno perso in cinque anni il 13,8% del loro peso. Le spese per i «servizi agli studenti», un capitolo che comprende borse di dottorato, assegni di ricerca e scuole di specializzazione, ma anche i programmi di mobilità e di scambi culturali per gli studenti, invece hanno tenuto, e tra il 2010 e il 2015 sono cresciute del 2%, mantenendo di conseguenza quasi lo stesso ritmo della mini-inflazione del periodo. Identica la dinamica delle «spese di funzionamento», voce canonica nelle teorie della spending, che però merita un’analisi più puntuale: gli aumenti nelle spese per le utenze (elettricità, gas, acqua e telefonia +7,5%) e per la pulizia (+7%) confermano le difficoltà vissute finora dai sistemi di controllo degli appalti e di centralizzazione degli acquisti, ma altre voci come le uscite per i laboratori (+6%) potrebbero spiegarsi anche con una piccola spinta ulteriore alle attività.

Bilanci trasparenti

I numeri chiave, però, sono altri e si concentrano nella colonna delle entrate. Tutte le cifre di questa pagina riguardano gli andamenti effettivi di cassa e arrivano da due fonti. Quelle complessive, aggiornate a fine 2015 per il confronto annuale, sono tratte dal Siope, il cervellone telematico del ministero dell’Economia che monitora quotidianamente incassi e pagamenti di tutta la pubblica amministrazione; i numeri relativi alle singole università (aggiornati per il momento al 2014) arrivano invece da «bilanci atenei», il portale che il ministero dell’Università ha lanciato sul proprio sito istituzionale per offrire il quadro della salute economico-finanziaria dei bilanci accademici: di ogni ateneo, in una rassegna che per ora esclude i non statali, è finalmente possibile consultare tutti i principali dati di bilancio, spulciando anche i numeri delle società partecipate, mentre in forma sintetica vengono offerti i dati sui principali indicatori dei conti, come il rapporto fra spese fisse e finanziamenti statali, quello fra spese di personale ed entrate e la sostenibilità dell’indebitamento.

Le entrate

Sono le entrate, dunque, a offrire le chiavi di lettura più importanti. La prima: l’autofinanziamento è sempre più vitale, perché il rapporto fra entrate proprie (tasse e contributi, prima di tutto, ma anche l’attività commerciale e gli accordi di programma) e trasferimenti è cresciuto di un terzo, passando dal 26 al 34,2 per cento. Si tratta di un’evoluzione inevitabile, dal momento che rispetto al 2010, quando era ancora “puntellato” da voci provvisorie come i 500 milioni del piano straordinario targato Mussi-Padoa Schioppa, il fondo di finanziamento ordinario ha perso in termini di incassi un miliardo di euro, mentre altri 100 milioni annuali si sono volatilizzati alla voce «trasferimenti per borse di studio». A sostenere i conti accademici, di conseguenza, sono stati chiamati sempre di più gli studenti e le loro famiglie, anche se in termini assoluti il loro valore non è riuscito a crescere a causa dell’emorragia di studenti che in cinque anni ha fatto perdere alle università il 6,5% dei propri iscritti in cinque anni accademici (si veda Il Sole 24 Ore del 2 novembre 2015). Tasse e contributi, nel frattempo, sono scesi “solo” del 3,5%, attestandosi a quota 1,7 miliardi tondi, aumentando quindi il loro peso percentuale sul totale delle entrate universitarie.

Mezzogiorno in crisi

È nelle università del Sud che i conti traballano pericolosamente, messi in crisi da un circolo vizioso che parte dalla perdita di studenti (e quindi di contributi), si riflette nella flessione delle performance e di conseguenza produce assegni statali alleggeriti per i tagli nella «quota premiale» collegata ai risultati. Le entrate strutturali degli atenei meridionali crollano in cinque anni del 20%, cioè il doppio rispetto alle università del Nord, e la stessa forbice si riscontra nei numeri del fondo universitario (-13,6% di incassi al Nord, -24,8% al Sud).

Le prospettive

In questo quadro va detto che l’ultima manovra, per la prima volta da molto tempo, riporta qualche segno «più» nelle voci del finanziamento statale all’università, con una serie di mini-interventi relativi a rafforzamento della quota premiale, piano straordinario per i ricercatori e fondo «Giulio Natta» per il reclutamento all’estero, che in totale racimolano 116 milioni per il 2016 e 165,5 milioni dal 2017. Una boccata d’ossigeno importante, che da sola non riuscirà però a cambiare le dinamiche strutturali, soprattutto nelle aree con il fiato più corto.

gianni.trovati@ilsole24ore.com

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