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Scontro governo-Cei sul voto segreto

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Scontro governo-Cei sul voto segreto

  • –Emilia Patta

Roma

Il voto segreto come lo strumento più idoneo alla tutela della libertà di coscienza. Nel giorno dell’87esimo anniversario dei Patti Lateranensi arriva, attraverso il cardinal Angelo Bagnasco, un nuovo richiamo dei vescovi italiani sulle unioni civili. E questa volta l’“auspicio” non si limita a ribadire principi generali ma entra nei dettagli della discussione in corso a Palazzo Madama, e per questo provoca la ferma reazione di diversi esponenti del governo, della Sinistra e di una fetta del Pd. «Ci auguriamo che il dibattito in Parlamento sia democratico e che la libertà di coscienza sia non solo rispettata ma anche promossa con una votazione a scrutinio segreto», sono le parole del presidente della Cei. Immediata e secca la replica del sottosegretario alle Riforme Luciano Pizzetti: «Le esortazioni sono giuste e condivisibili, ma come regolare il dibattito del Senato lo decide il presidente del Senato. Non il presidente della Cei». E se il sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova si dice «sconcertato» e il democratico Sergio Lo Giudice parla di «ingerenza negli affari dello Stato», la vicepresidente del Senato, Valeria Fedeli, chiede «rispetto per le istituzioni repubblicane».

A decidere sui voti segreti sarà il presidente del Senato Pietro Grasso. Che ha già fatto intendere, negando il voto segreto nella prima votazione di mercoledì sull’ordine del giorno Calderoli-Quagliariello, che ce ne saranno pochi: per Grasso, infatti, la materia disciplinata dal Ddl Cirinnà sulle unioni civili rientra prevalentemente nella sfera dell’articolo 2 della Costituzione sui diritti sociali piuttosto che nella sfera dell’articolo 29 sul matrimonio e la famiglia. Ad ogni modo il tempo stringe, e dopo l’illustrazione degli emendamenti fatta ieri, da martedì si passa al voto sugli articoli. Si consumano dunque in queste ore gli ultimi tentativi di trovare un accordo in casa democratica che faccia rientrare il dissenso dei circa 28 cattolici democratici contrari alla stepchild adoption, ossia l’adozione del figlio naturale del partner all’interno della coppia gay. Non è perciò un caso che le parole di Bagnasco arrivino proprio ora.

Nel mirino dei cattodem, che ieri si sono riuniti a pranzo nel ristorante di Palazzo Madama con il “pontiere” Giorgio Tonini, è finito il “canguro” a firma del renziano Andrea Marcucci. «Ci crea non poche difficoltà», dice Rosa Maria Di Giorgi, che assieme a Stefano Lepri capeggia la rivolta dei cattodem in Senato. Al momento tuttavia l’emendamento premissivo resta, anche perché è lo stesso Marcucci a dire di essere pronto al ritiro solo se la Lega revocherà «i suoi 86 emendamenti-canguri». Ma non è aria di accordo con i leghisti, poco disposti a facilitare le cose a un Pd diviso. E con il “canguro”, che recepisce i principi dell’intera legge, decadrebbero la maggior parte degli emendamenti restringendo di molto la possibilità del dissenso interno. In queste ore rispunta la possibilità di convergere sull’affido e sul pre-affido per evitare di estendere l’istituto dell’adozione alle coppie omosessuali. Ma off record si fa notare che l’affido potrebbe creare problemi di costituzionalità per la disparità che si creerebbe con le coppie eterosessuali alle quali la stepchild adoption è già concessa. E in ogni caso l’affido servirebbe forse a mettere pace all’interno del Pd ma non avrebbe i voti della maggioranza dell’assemblea: gli alfaniani sono contrari anche all’affido e il gruppo del Movimento 5 stelle - tranne 2 contrari - è schierato per il Ddl Cirinnà così com’è nonostante la libertà di coscienza lasciata in extremis dal leader Beppe Grillo.

L’unica reale possibilità di compromesso è rafforzare la procedura, rendendola più dura, per ottenere la stepchild adoption. Probabilmente non basterà a far rientrare il dissenso dei cattodem, ma sarebbe comunque un gesto distensivo interno. Anche perché sono in molti, a cominciare dal presidente emerito e senatore a vita Giorgio Napolitano, ad essere preoccupato dal clima avvelenato dentro il Pd. «Serve uno sforzo per avvicinare le posizioni», ha detto ieri Napolitano.

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