Non si attenua la crisi che sta vivendo l’artigianato: secondo un’indagine dell'Ufficio studi della Cgia nell'ultimo anno le imprese attive sono diminuite di 21.780 unità, mentre dall'inizio della crisi (2009) il numero complessivo è crollato di 116 mila attività. Al 31 dicembre 2015 il numero complessivo delle aziende artigiane presenti in Italia è sceso sotto quota 1.350.000. In valore assoluto, l’edilizia (-65.455 imprese) e i trasporti (-16.699) sono le categorie che hanno risentito maggiormente degli effetti negativi della crisi. In sofferenza anche le attività manifatturiere, in particolar modo le imprese metalmeccaniche (-12.556 per i prodotti in metallo e -4.125 per i macchinari) e gli artigiani del legno (-8.076 che diventano -11.692 considerando anche i produttori di mobili). Per contro, invece, parrucchiere ed estetiste (+2.180), gelaterie-rosticcerie-ambulanti del cibo da strada (+3.290) e le imprese di pulizia e di giardinaggio (+11.370) sono aumentate di numero. A livello territoriale sono state le regioni del Sud ad aver registrato più consistenti contrazioni di imprese: Sardegna (-14,1 per cento), Abruzzo (-12 per cento) e Basilicata/Sicilia (entrambe con -11,1 per cento).
«A differenza degli altri settori economici - sottolinea il coordinatore dell'Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo - l’artigianato è l'unica categoria economica che continua a registrare un netto calo delle imprese attive; infatti, guardando alle imprese non artigiane solo l'agricoltura e l’estrazione di minerali evidenziano una flessione nell'ultimo anno». Quali sono le ragioni di questa «moria»? «La caduta dei consumi delle famiglie e la loro lenta ripresa, l'aumento della pressione fiscale e l'esplosione del costo degli affitti hanno spinto fuori mercato molte attività - prosegue Zabeo - senza contare che l'avvento delle nuove tecnologie e delle produzioni in serie hanno relegato in posizioni di marginalità molte professioni caratterizzate da un’elevata capacità manuale. Ma oltre al danno economico causato da queste cessazioni, c'e' anche un aspetto sociale molto preoccupante da tenere in considerazione. Quando chiude definitivamente la saracinesca una bottega artigiana, la qualità della vita di quel quartiere peggiora notevolmente. C’è meno sicurezza, più degrado e il rischio di un concreto impoverimento del tessuto sociale». «Ricordo - segnala il segretario della Cgia Renato Mason - che nell'ultimo comma dell'articolo 45 della nostra Costituzione si e' stabilito che la legge deve provvedere alla tutela e allo sviluppo dell'artigianato. In questi ultimi decenni, invece, questo principio spesso è stato disatteso, in particolar modo dalle norme in materia fiscale che hanno aumentato in maniera sconsiderata il carico fiscale/contributivo sugli artigiani».
Barbieri, calzolai, fabbri, fotografi ottici o i corniciai in via di estinzione
Molti mestieri artigiani rischiano di sparire nel giro di una dozzina di anni. È l'allarme lanciato dalla Cgia, secondo cui tra il 2009 e il 2015 le professioni che hanno subito la riduzione del numero di iscritti più importante sono stati i piccoli armatori (-35,5 per cento), i magliai (-33,1 per cento), i riparatori audio/video (-29,4%), i lustrini di mobili (-28,6 per cento), i produttori di poltrone e divani (-28,4 per cento), i pellicciai (-26 per cento), i corniciai (-25,7 per cento), gli impagliatori (-25,2 per cento), i produttori di sedie (-25,1 per cento), i camionisti (-23,7 per cento) e i falegnami (-23,2 per cento). «Alcune professioni storiche dell'artigianato ormai stanno scomparendo - sottolinea il segretario della Cgia Renato Mason - Vuoi per le profonde trasformazioni che i rispettivi settori stanno subendo o per il fatto che i giovani non si avvicinano piu' a questi mestieri. I barbieri, i calzolai, i fabbri, i fotografi gli ottici o i corniciai, ad esempio, sono in via di estinzione e oltre a perdere saperi e conoscenze che non recupereremo mai piu', la chiusura di queste attivita' sta peggiorando il volto urbano dei nostri paesi e delle nostre citta'
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