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L'addio a Giulio di Fiumicello

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ieri i funerali

Giulio Regeni, il «Piccolo Principe» che costruiva tolleranza

«In morte di un piccolo principe». Così Michela Vanni, insegnante di teatro della scuola media Don Milani di Fiumicello, ricorda Giulio Regeni.

«Un piccolo principe che in realtà aspirava al ruolo di aviatore, sempre impegnato nelle sue trasvolate in un cielo popolato di stelle», dice Michela mentre i singhiozzi quasi le impediscono di parlare. Fiumicello, Bassa Friulana, terra di emigrazione e di coltivatori di pesche, ieri era avvolta da un cielo grigio e da una pioggia battente. Fango, lacrime e un silenzio ostinato hanno accolto la bara di noce chiaro che a passo d'uomo ha raggiunto la palestra di questo paese perso nella campagna. La famiglia di Giulio non vuole posti riservati per le autorità: «cittadini e rappresentanti delle istituzioni sono la stessa cosa» ripete da settimane Paola Deffendi, per anni maestra d'inglese alla scuola materna Collodi di Monfalcone. Lei non deflette. E rifiuta persino due corazzieri con una corona di fiori pronti a muoversi dal Quirinale. Una fierezza e una convinzione nelle proprie idee che molti riassumono con una battuta che vale anche per Giulio: «I Regeni sono dei comunisti innamorati della verità». La foto di Enrico Berlinguer giganteggiava nel suo profilo Facebook. Così come i libri di Antonio Gramsci e Pier Paolo Pasolini popolavano la sua scrivania.

Ora tutti non fanno che ricordare piccoli gesti che presagivano quello che Giulio è diventato da adulto: un uomo coraggioso. Per lui sono arrivati in seimila. Mille riescono a entrare nella palestra intitolata a Primo Carnera, presidiata da un friulano della Protezione civile alto 2 metri con una fascia da rugbista sulla fronte. Tutti gli altri rimangono fuori, con un'umidità che allaga le ossa. Sono friulani di tutte le età, molti oltre i sessant'anni. Per due ore rimarranno immobili con i piedi inzaccherati in un prato che trasuda acqua. Una signora sulla settantina, con un giaccone color tortora e una sciarpa rosso fuoco, è piantata con i suoi mocassini marroni in una pozza d'acqua. Non fa una piega; si limita ad appoggiare le mani sul suo ombrello chiuso e ogni tanto muove ritmicamente le labbra come se recitasse il rosario. Un'altra, con una pelliccia frusta, un'ora dopo l'inizio dell'orazione funebre crolla a terra senza un lamento per il troppo freddo.

La preghiera collettiva sembra seguire il flusso degli interventi, diffusi dagli altoparlanti, che si susseguono all'interno della palestra. Dai frammenti dei ricordi e dagli amici che intervengono in memoria di Giulio emerge la storia di un ragazzo immerso nella cultura mitteleuropea. Cento anni fa, ai tempi della prima guerra mondiale, Fiumicello era austriaca e diventò italiana solo a guerra finita. Il sindaco quarantenne, Ennio Scridel, laurea in Economia a Udine, racconta che alcuni suoi coetanei ebbero i due nonni schierati uno con gli austriaci e l'altro con gli italiani. I ragazzi dell'88, l'anno di nascita di Giulio, queste storie le hanno ascoltate milioni di volte. Giulio, a differenza di molti suoi coetanei, decide di andare a studiare a Trieste e non a Udine. «Una scelta di campo», dice Scridel. Il percorso inverso che fece lo scrittore Rainer Maria Rilke, che dal Cairo risalì a Duino, a pochi chilometri da Trieste, dove scrisse le “Elegìe duinesi”. A Duino, coincidenza, c'è la sede del Collegio del mondo unito, il liceo frequentato da Giulio e da ragazzi di tutto il mondo, al quale segue l'ultimo anno dell'high school in New Mexico, negli Usa. Il virus della triestinità, per secoli lo sbocco a mare dell'impero austroungarico e crocevia dei Balcani, lo prepara a diventare cittadino del mondo. Racconta Gala, una delle sue amiche del cuore. «Giulio ci ripeteva sempre di volgere lo sguardo al mondo».

Altre parole ritornano come un mantra negli altri interventi: «Libertà, conoscenza, futuro». Ci sono anche i professori inglesi di Giulio, che lo commemorano in inglese. Con una professoressa che sintetizza il rapporto dello studente friulano con i suoi insegnati: «Giulio was an amazing student!». Lo dicono tutti: Giulio era un leader carismatico e uno studente appassionato: forte, ostinato, sempre a difesa dei più deboli. Una delle sue insegnati del Collegio internazionale di Duino, fa un passo più in là, e comunica il senso di colpa che la macera: «E se avessimo sbagliato a educare questi ragazzi all'accettazione incondizionata degli altri?». È una domanda retorica, ma affrontare il mondo con le stimmate dell'amore universale tipico della cultura di un Paese occidentale può rivelarsi un'arma a doppio taglio. E qui emerge l'affinità tra l'assassinio di Valeria Solesin, morta per gli attentati al teatro Bataclan di Parigi il 13 novembre, e la traiettoria umana di Giulio Regeni: entrambi con mamme-pedagoghe che gli hanno trasfuso l'amore per la conoscenza e per gli altri.
Paola Deffendi non ce la fa a parlare. Scrive un messaggio che fa leggere a Oscar, un caro amico di Giulio: «Tu sei stato un costruttore di tolleranza». A Fiumicello, come ai funerali di Valeria, sono presenti l'Imam di Trieste, Nader Akkad, e Alessandro Treves, rappresentante delle comunità ebraica giuliana. Per loro neppure un posto al caldo della palestra. Ma nessuno osa esprimere il più vago disappunto. Rimangono all'aperto, dritti e silenziosi come due alberi d'inverno. Un esercizio di disciplina tutto friulano, genuino e ruvido allo stesso tempo. Il silenzio parla per tutti. E restituisce il modo di essere di una famiglia e di un popolo che hanno accompagnato Giulio nel suo ultimo pomeriggio terreno.

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