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Partecipate, via 15mila posti nei cda

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Partecipate, via 15mila posti nei cda

  • –Gianni Trovati

La riforma delle società partecipate punta a cancellare almeno 15mila caselle nei consigli di amministrazione, destinate a sparire con la fine dei mandati attuali oppure a essere travolte direttamente dalla scomparsa della società. In gioco, più che risparmi salvifici per i bilanci pubblici, c’è la scelta di una radicale sfoltita nella governance, e l’obiettivo politico di cancellare anche questo incentivo indiretto a utilizzare le società pubbliche come ufficio di collocamento o strumento di scambi di favori con la moneta delle nomine.

Il cambio di rotta

L’epoca dei consigli di amministrazione pletorici nelle società pubbliche è del resto finita da un pezzo, da quando le regole avviate nel 2006 dall’allora ministro degli Affari regionali, Linda Lanzillotta, e rafforzate nelle manovre successive (in particolare dalla spending review 2012 di Monti), hanno fissato il limite dei tre componenti, con limitate possibilità di salire a cinque per le società più grandi. Ma nella versione bollinata pochi giorni fa dalla Ragioneria generale dello Stato, che conferma in tutti i punti chiave la linea “rigorista” approvata a Palazzo Chigi (si veda Il Sole 24 Ore dell’11 febbraio), il nuovo testo unico sulle partecipate rovescia la prospettiva attuale. Oggi le società sono di solito governate da un consiglio di amministrazione, ma possono scegliere di sostituirlo con un amministratore unico. Nel nuovo testo, che ora inizia il proprio giro dei pareri in Conferenza unificata, Consiglio di Stato e Parlamento, l’amministratore unico diventa invece la regola e sarà un decreto di Palazzo Chigi, elaborato però tra Economia e Funzione pubblica, a stabilire le condizioni che permetteranno all’assemblea dei soci di optare per il consiglio a tre o cinque membri, sulla base di «specifiche ragioni di adeguatezza organizzativa». Il fatto che l’ultima parola spetti, di fatto, al decreto del presidente del Consiglio, e non all’assemblea dei soci che nelle prime bozze del testo rimaneva libera di seguire o meno l’indicazione dell’amministratore unico, conferma la volontà di governare dal centro gli effetti del taglio a poltrone e seggiole dei consigli di amministrazione.

I numeri

Stilare un preventivo di questi effetti, però, è impresa complicata, non solo per le innumerevoli incognite che sempre accompagnano l’attuazione effettiva delle tante regole più o meno ambiziose scritte nelle riforme. Quando si parla di società partecipate , infatti, una premessa è d’obbligo: i numeri servono a dare un ordine di grandezza dei fenomeni, ma non vanno presi alla virgola. Oltre alle partecipate, negli anni scorsi si sono moltiplicati i censimenti, e ognuno dà numeri diversi. Per avventurarsi nella foresta dei numeri, quindi, occorre scegliere e ancora una volta la fonte più utile è il lavoro dell’ex commissario alla spending review, Carlo Cottarelli, basato sui dati del ministero dell’Economia.

Prima di tutto, gli amministratori nelle partecipate sono 26.500, che occupano in realtà 37mila posti, perché i doppi incarichi sono frequenti, e ricevono indennità per circa 400 milioni all’anno: Cottarelli in realtà ne calcolava 470, ma nel frattempo gli effetti del decreto Monti, che hanno imposto un taglio generalizzato del 20%, dovrebbero aver ridotto la somma in gioco. La regola dell’amministratore unico, però, si applica nelle circa 3.700 società nelle quali la maggioranza è in mano alla Pubblica amministrazione, e in cui ci sono oltre 13mila posti da amministratore perché in circa un caso su quattro il fatturato supera la soglia che consente al cda di allargarsi a cinque membri. La regola dell’amministratore unico, di conseguenza, cancellerebbe quasi 10mila caselle, anche se alcune potrebbero sopravvivere in base alle deroghe che saranno decise con il Dpcm e alle scelte conseguenti che saranno affidate all’assemblea dei soci.

Le aziende «in ombra»

Questo, però, è solo un primo passo, perché 2.630 società non hanno finora reso disponibili i bilanci e si può stimare che, come accade nel panorama più generale delle partecipate, circa 1.300 siano a maggioranza pubblica. Se continueranno a rimanere nell’ombra, rischiano di cadere nella cancellazione automatica dal Registro delle imprese, come prevede la stessa riforma Madia: in ogni caso, è ovvio che nell’ampia maggioranza dei casi si tratti di mini-società, che non potranno sfuggire alla regola dell’amministratore unico, cancellando quindi gli altri due posti (2.600 caselle in tutto). Solo nelle controllate, quindi, il programma della riforma punta a ridurre di almeno 15mila unità la platea degli amministratori. Dove il controllo è privato, invece, l’obiettivo è ovviamente l’uscita della Pa dalla compagine azionaria, lasciando in mano al privato gestione e amministrazione.

gianni.trovati@ilsole24ore.com

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