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Non è mai troppo tardi per imparare le lingue

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Non è mai troppo tardi per imparare le lingue

Da qualche tempo sui media imperversa al ritmo dell'inconfondibile sound di Jeff Buckley il nuovo spot pubblicitario di un importante gestore telefonico il cui testimonial, Fabio Fazio, evoca a effetto l'apertura celestiale. E' solo un'immagine poetica usata per indicare la facilità di connettersi col mondo e comunicare con gli altri grazie alla tecnologia o molto di più? Dietro la “celestial opennes” diventato anche hashtag oltre query nei motori di ricerca ci sono importanti studi neuro linguistici, quelli di Patricia Kuhl, dell'Università di Washington, specializzata sulle basi neurali del linguaggio. Ma si sa che il messaggio pubblicitario segue le sue ragioni col rischio di banalizzare importanti sviluppi di ricerca sull'apprendimento delle lingue. Purtroppo è quel che accade quando Fazio, scoraggiandoci ai fini di incoraggiarci alla tecnologia, di seguito sostiene:
-Non potremo mai più avere tante connessioni con il mondo di quante ne avevamo nel nostro primo anno di vita.
-Quando questa magia finisce, tutti i nostri pensieri viaggiano su binari prestabiliti. Per sempre.
-Le nuove tecnologie ci aiutano a superare questo limite.

Lo scopo della sequenza è chiaro: vengono prima definiti dei limiti anagrafici e delle fasi antropologiche per poi affermare che si possono superare grazie alle risorse tecnologiche presenti sul mercato. E' un espediente quello di ricorrere a contenuti scientifici elevati o a immagini celestiali per scopi commerciali più prosaici, una sorte che speriamo non tocchi anche alle onde gravitazionali intuite un secolo fa da Einstein e da poco dimostrate. Di certo è quel che sta accadendo agli studi sul linguaggio e alle connesse ricerche sul cervello umano relative alla sua “neuroplasticità”, più elevata negli infanti e grazie alla quale loro hanno più facilità a imparare le lingue rispetto agli adulti. La plasticità del cervello, oggetto delle neuroscienze, già veniva prefigurata dai filosofi nell'immagine della “tabula rasa”, in opposizione all'innatismo delle idee, per definire quella condizione tipica dei bambini: più sgombra e quindi più facile da riempire. Tuttavia il nostro talento da piccoli per le lingue crescendo si perde: è una conseguenza della tendenza a omologarsi, un approccio che porta i pensieri a incanalarsi sui binari della ripetitività linguistica. Per dirla con “Bufalo Bill” di Francesco De Gregori: “la differenza salta agli occhi: la locomotiva ha la strada segnata/ il bufalo puo' scartare di lato”.

Da adulti si inizia ad arrancare come una locomotiva man mano che si perde in apprendimento linguistico, una decrescita che pare inizi dopo il primo anno di vita quando è più elevata l'offerta dei nuovi suoni che ascoltiamo da nostra madre. Ma il destino da adulti è proprio quello di finire su binari senza possibilità di scarto laterale? I giochi sono ancora aperti e continuando a studiare il cervello, di cui se ne sa ancora poco, potremo forse riuscire a mantenere una mente aperta all'apprendimento per tutta la vita pur sapendo di fare più fatica. Prestando ascolto alle parole di John Lennon, più che a quelle di Fazio, “le parole si diffondono per tutto l'universo… fluttuano nella mia mente aperta” (Across the Universe) comprendiamo che per essere “open mind” serve un'ampiezza di vedute tipica dello sguardo d'insieme delle mente in grado di cogliere intuitivamente e non solo tecnologicamente l'interconnessione originaria di tutte le cose. A livello di metafora, all'uomo serve ancora l'istinto allo scarto del bufalo, simbolo del potere sovrannaturale, e non solo affidarsi alla linearità della locomotiva, simbolo della tecnologia.

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