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Istruzione tecnica più vicina al mondo del lavoro

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Istruzione tecnica più vicina al mondo del lavoro

Romano Prodi denunciando il drammatico declino dell’istruzione tecnica secondaria in Italia, ricorda il ruolo storico che essa ha avuto per l’economia e la società. Una recente ricerca dell’associazione TreeLLLe e della Fondazione Rocca registra tale declino, che si misura con il calo di iscrizioni a partire dagli anni ’90 e con lo scambio di posizioni fra tecnici e licei. Ma il fatto forse peggiore è la perdita di reputazione, frutto di una grande incomprensione sociale, (come dice Prodi).

Riemerge continuamente nella società italiana la tendenza a disprezzare la cultura dell’operatività, del progetto, del lavoro. Negli ultimi tempi ha ripreso spazio l’antica idea che una vera cultura, per essere tale, deve essere inutile!

Il declino dell’It ha però anche cause più profonde di quelle ideologiche. La prima è di natura socio-economica. Nei decenni di massimo successo gli It godevano di un diffuso atteggiamento positivo verso la tecnologia e l’industria. E avevano certo una funzione di ascensore sociale per figli di operai e artigiani, ma anche una funzione di dislocatore dal mondo del commercio e dell’agricoltura a quello industriale.

La seconda è che i diplomati erano allora certi di conquistare una posizione sociale. Uscivano da pochi istituti tecnici molto qualificati e con vaste aree di utenza, tipo il Montani di Fermo ed il Cobianchi di Verbania, solo per fare due esempi. Non a caso questi istituti erano affiancati da collegi e case studente.

Un ruolo simile lo potrebbe oggi avere l’istruzione tecnica superiore in una delle forme che Prodi ricorda nel suo articolo e che sono state il secondo oggetto della ricerca TreeLLLe-Fondazione Rocca. Ma da noi, ad oggi, predomina l’incertezza su quali modelli adottare, rispetto all’Europa.

Dagli anni ’70 parte la grande conquista di una scolarizzazione secondaria superiore per tutta la popolazione. Gli It fanno la loro parte; anzi, in un primo momento, sono quelli che reggono l’urto maggiore. Ma inevitabilmente acquistano un ruolo nuovo: apertura all’università e ricerca di un principio formativo che unisca cultura e professione. Questa esigenza è còlta in pieno nei profili formativi dell’ultimo riordino dei curricoli, nei quali è evidente lo sforzo di affiancare alle competenze professionali quelle della cultura generale e della capacità critica. Ma perché questo sia vero occorre fare i conti con i contenuti e con il metodo. Non basta e forse neanche serve apporre un’etichetta licealistica né ricorrere a “belletti” formali. E neanche si tratta di dare più spazio alle discipline umanistiche; occorre piuttosto stabilire un migliore dialogo fra le due. È necessario soprattutto sfruttare meglio le risorse culturali delle tecnologie stesse. Per esempio, bisogna valorizzare i loro fondamenti concettuali e il loro collegamento con la scienza e persino con la cultura in generale (si pensi ai fondamenti dell’informatica e al loro collegamento con la matematica, la logica, la comunicazione). Bisogna dare più spazio agli aspetti sociali delle tecnologie. Perché un perito tecnico non dovrebbe essere in grado di comprendere, almeno in parte, il dibattito condotto da scienziati, tecnologi e filosofi sul rapporto tecnologie-cultura-società? E tener conto della grande dinamicità del sapere tecnologico e della continua contaminazione dei vari ambiti, non facilmente riconducibile in indirizzi fissi e rigidi; e dare spazio, nell’organizzare l’apprendimento, al lavoro cooperativo in gruppo per progettare e risolvere problemi. Come pure sfruttare appieno le potenzialità formative del laboratorio non solo, è ovvio, come luogo di applicazione delle conoscenze e delle procedure, ma anche di scoperta.

Tutto questo e altro ancora significa evocare, come si fa spesso, Galileo o Leonardo, e qualificare gli It “scuole dell’innovazione”, come ha fatto la Commissione che ha lavorato per il loro riordino.

Gran parte degli It sono già da tempo su questa strada. Come hanno mostrato anche un recente progetto (A. F. De Toni, L. Dordit, Il cannocchiale di Galileo,Erickson, 2015) e la ricerca Experimenta (www.experimenta-pensarefarescienza.it) molti It sono capaci di confrontarsi con tecnologie complesse, istituendo pratiche di studio e di progetto innovative, al di la degli schemi disciplinari. Sforzi non facili, perché occorrono sia una struttura curricolare sia un’organizzazione generale più flessibili. Questo, del resto, era quanto richiesto dalla Commissione per il riordino.

La ricerca TreeLLLe-Fondazione Rocca ha messo in evidenza la necessità di rimuovere alcune strozzature introdotte dalla normativa attuativa, fra cui dare più spazio all’autonomia nella definizione di una parte dei contenuti (come del resto previsto dalla specifica legge del 1999), nei modi di aggregazione dei gruppi e delle classi e quindi nell’organizzazione; e introdurre l’opzionalità, cioè la possibilità, per ogni scuola, di offrire temi o percorsi differenziati anche all’interno di un dato indirizzo. Flessibilità cioè, rispondenza alle esigenze locali e alle vocazioni personali, insieme, piuttosto che articolazioni definite a priori a livello nazionale.

La inevitabile vicinanza culturale e pratica degli It alle imprese e al lavoro ha bisogno di essere recuperata e ripensata. Originariamente essa era ottenuta riproducendo all’interno del curricolo stesso un luogo di lavoro: l’officina. Difficile, oggi e comunque insufficiente per la complessità delle tecnologie, ma soprattutto per quella dell’organizzazione del lavoro. La recente legge 107 sulla scuola cerca di rilanciare il metodo dell’alternanza. La ricerca TreeLLLe-Fondazione Rocca ne ribadisce l’importanza, ma dimostra anche che, a causa della struttura del nostro sistema produttivo e della scarsità di risorse, l’alternanza non è una pratica semplice e non sempre significativa. Essa richiama anche quello più vasto dell’apprendimento non formale fuori dalla scuola, che richiede tra l’altro scelte culturali, sforzi organizzativi e coordinamento con soggetti esterni.

Vale la pena infine ricordare che fra le perdite va annoverata anche quella di una certa e variegata osmosi fra It e università, che un tempo dava prestigio: la partecipazione di tecnologi, a volte del massimo livello, alle commissioni di concorso e agli esami di maturità e persino esperienze di docenza e di dirigenza su ambedue i livelli, secondario e universitario. Oggi occorrerebbe recuperare anche questo rapporto, certamente in forme nuove, simili a quelle, per esempio, del recente Progetto lauree scientifiche.

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