
Quella in arrivo per il mondo degli appalti vuole essere una rivoluzione autentica: un «modello Expo» da generalizzare a livello nazionale, con al centro del sistema i poteri di prevenzione e regolazione dell'Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone. L'obiettivo è rilanciare gli investimenti, liberando il sistema dalla corruzione dilagante che lo soffoca e lo paralizza. Riuscirà in questo ambizioso intento il decreto legislativo che dovrebbe andare domani all'esame del Consiglio dei ministri? E come, con quali strumenti?
Senza elencare le centinaia di novità piccole e grandi, spesso di contenuto tecnico, contenute nel provvedimento che ieri è stato chiuso dalla «commissione Manzione», si possono indicare quattro pilastri destinati a incidere profondamente negli equilibri del mercato pubblico.
Anzitutto, si semplificano radicalmente - come aveva chiesto il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio - le regole che governano il settore: si passa dagli oltre 600 articoli del dispositivo codice+regolamento a circa 220 articoli del nuovo codice senza più regolamento. In secondo luogo, come si è detto, si mette al centro del sistema di regolazione l'Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone che agirà non solo attraverso sanzioni ex post, ma anche ex ante attraverso atti di indirizzo, linee-guida, bandi-tipo e contratti-tipo secondo un modello di soft law più flessibile e facilmente aggiornabile delle norme regolamentari.
Questa “centralità” dell'Anac ha un altro risvolto, oltre a quelli di regolazione e di deterrente dal crimine: il sistema avrà un garante e un promotore, un “padre” attraverso cui passerà l'attuazione delle norme. La legge Merloni, che 22 anni fa provò a imporre novità non molto diverse da quelle di oggi, non ebbe un difensore, un promotore, un “guardiano” e fu fatta a pezzi entro breve tempo da tutti quelli che le addossarono le responsabilità di paralizzare un settore già paralizzato da una crisi profonda.
Terzo pilastro. Per la prima volta saranno qualificate le amministrazioni pubbliche che, se non avranno strutture adeguate, non potranno più esercitare le funzioni di stazioni appaltante e dovranno rivolgersi alle centrali di committenza: è forse la novità più rivoluzionaria perché la criticità del sistema oggi è proprio nella debolezza della pubblica amministrazione e questa norma può cambiare le cose (insieme ad altre come il rafforzamento strategico del responsabile unico del procedimento che deve essere professionalizzato).
E qualcosa di speculare avviene sull'altro versante, quello degli «operatori economici»: per la prima volta le imprese saranno qualificate e giudicate anche sulla base del loro curriculum (premi per chi opera bene, penalizzazioni o addirittura l'esclusione per chi ha operato male).
Va dato atto a Matteo Renzi di aver voluto questa riforma con queste caratteristiche fondamentali e di averla voluta in fretta. Per poter dire al Paese che è ora di finirla con un sistema infetto dalla corruzione. Ma anche per dire a Bruxelles che - con questa fondamentale riforma economica - abbiamo tutte le carte in regola per rilanciare gli investimenti in chiave di rafforzamento della crescita.
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