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Un ciclone sulla Rai senza missione

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Un ciclone sulla Rai senza missione

Il Ciclone sta arrivando. Non è un caso se i dirigenti della Rai, in ogni ambito esterno dove sono impegnati, appaiono prudenti, al limite dell’immobilismo. In sette mesi, il nuovo vertice guidato da Antonio Campo Dall’Orto ha già cambiato molte pedine, anche se non è chiaro verso quale Rai si stia andando. Lo si capirà meglio dopo il Piano industriale che arriverà in aprile e dopo il rinnovo della concessione di maggio. È un vertice che ha dovuto cambiare in corso le regole di governance: quella di Antonio Di Bella a direttore di RaiNews24 è stata l’ultima con le vecchie regole - il dg propone, il cda nomina. Ora il nuovo statuto aziendale è in vigore e il cambiamento subisce una forte accelerazione: il direttore generale con i poteri dell’amministratore delegato decide un “pacchetto” di nomine e lo sottopone al cda, che deve esprimere un parere su quelle di reti, canali e testate giornalistiche (vincolante solo per queste ultime e se espresso con la maggioranza dei due terzi).

Antonio Campo Dall’Orto ha poteri e responsabilità che nessun direttore generale ha mai avuto in precedenza, quando il regime è stato prima quello dell’amministratore delegato “collettivo” e poi, con le correzioni del governo Monti, una sorta di diarchia presidente-direttore generale. E se l’inserimento del canone nella bolletta elettrica darà gli introiti promessi e previsti, decreti attuativi permettendo, questo vertice avrà un introito fisso iscritto nel bilancio dello Stato sino al 2018, più una percentuale dell’extragettito, mentre i predecessori dovevano fare i conti con l’evasione di un 27% delle famiglie in aggiunta a una morosità crescente. Certo, un governo può modificare cifre e percentuali nelle prossime leggi di stabilità e può così sempre condizionare gli amministratori della Rai. Per adesso, però, il nuovo vertice sa di poter contare da fine anno su risorse da investire nelle tecnologie digitali, nei diritti su eventi e sport, nella formazione di un nuovo management del servizio pubblico. Tanto che i concorrenti privati, da Urbano Cairo a Mediaset, hanno chiesto perché la Rai debba avere tale vantaggi sul mercato: un introito garantito più una parte dell’extragettito mentre compete sul mercato anche con una politica commerciale “aggressiva”. Vale a dire raccogliendo inserzioni pubblicitarie per tutti i palinsesti Rai anche praticando forti sconti sui listini. Una nomina annunciata ieri, ma passata quasi sotto silenzio, è quella di Antonio Marano a presidente di Rai Pubblicità (con deleghe esecutive): bisognerà capire se la sua “missione” sarà quella non di contrastare, ma di rendere meno aggressiva tale politica.

La Rai ha avuto finora una nuova governance, con accentramento dei poteri interni, e risorse, ma non la Riforma con la ridefinizione della propria missione. Manca una visione di sistema nella classe dirigente, che dia un ruolo al servizio pubblico - primario quello per l’audiovisivo nazionale, anche in formati "internazionali” - e liberi risorse, diritti e talenti per una pluralità di soggetti privati dell’ecosistema della comunicazione, il cui motore di sviluppo è il Web. Una visione che permetta di superare un assetto troppo concentrato, a scapito della pluralità industriale del sistema Italia. Al contrario di quanto accade in altri paesi europei, dove il produttore indipendente è al centro del sistema.

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