Roma - L’orgoglio mediatico di ventiquattro mesi di goal sulla poltrona di palazzo Chigi non poteva che fotografarlo in 24 slide, in un cloud delle leggi più significative incassate e nel più classico dell’hashtag #ventiquattro, lui che non ha rinunciato a sedersi per la prima volta in Parlamento al banco del premier armato di iPhone, iPad e Pc, oltre che di (apparente?) furia rottamatrice. Anche se, tecnologie a parte, dopo aver circumnavigato lunedì 22 febbraio i suoi primi 730 giorni da capo del Governo, giusto al giorno 731 Matteo Renzi avrà a che fare con due provvedimenti che forse avrebbe preferito scansare. Forse più della questione banche o dei “burocrati di Bruxelles”. Quelle unioni civili che ormai da 23 giorni monopolizzano il Senato che neanche una manovra da 30 mld ha mai fatto. E alla Camera il ritorno di fiamma del conflitto d'interessi, dove dovrà dimostrare al popolo di sinistra quanto sa fare cose di sinistra.
Ma i primi due anni da premier, anche se non sono stati esattamente una passeggiata, sono stati indubbiamente caratterizzati da risultati di tutto rispetto in Parlamento per Matteo Renzi. E certamente non perché con i suoi tweet il più tecnologico premier di sempre ha saputo diffondere con grande energia i successi del suo Governo. Successi innegabili, anche se i numeri vanno sempre letti in controluce. Delle 195 leggi approvate in 35 mesi di legislatura (incluso dunque il Governo di Enrico Letta), nei due anni di Renzi ne sono arrivate in porto ben 159. Appena 27 di iniziativa parlamentare, pari al 17% in tutta la legislatura. Nel segno del Governo che comanda, come accade da sempre. Anche se con Renzi a palazzo Chigi il primato del Governo è cresciuto ancora. Col record (secondo solo a Mario Monti) dei voti di fiducia: ben 46, quasi due volte al mese. Con i decreti legge convertiti a quota 35 (60 dall’inizio della legislatura) sui quali sono piovute ben 36 fiducie: tre volte su dieci, ha calcolato Openpolis, le leggi di stampo governativo sono arrivate al traguardo proprio col voto di fiducia. Fare di necessità virtù, come sempre, sull’onda dell’urgenza del cronoprogramma - aggiustato in corso dopera - e della necessità di incassare i preziosi risultati esaltati dal premier per l’Italia 3.0 della "volta buona". Su Italicum, Jobs act, riforma della Pa e Stabilità 2015, ad esempio, di fiducie ce ne sono volute almeno tre. Non senza fatica, strappi interni al Pd ma anche l’addio al patto del Nazareno con l’ex Cavaliere di Arcore. Per non dire delle distanze abissali con i sindacati, anzitutto la Cgil.
Certo è che, quantità di leggi o di voti di fiducia a parte, i numeri dei ventiquattro mesi di Renzi e del suo Governo in Parlamento raccontano anche altro. Perché le leggi e tutte le misure che l’ex sindaco di Firenze può vantare dopo lo scambio glaciale della campanella a palazzo Chigi con Enrico Letta sono (sulla carta, ma non solo) da fenomeno. Soccorre quel #ventiquattro postato sul sito del Governo a ricordarle tutte in una cloud piena di tag: Jobs act, buona scuola, riforma della burocrazia, anticorruzione, falso in bilancio, sono i più in evidenza. Ma Renzi non esita ad aggiungere al bottino di leggi il contestatissimo Italicum (in odore di modifica), la responsabilità civile dei magistrati, gli ecoreati, il divorzio breve, la legge sull’autismo e naturalmente l’abolizione della tassa sulla prima casa. O il bonus bebè, la voluntary disclousure e il processo telematico. Naturalmente la riforma delle banche popolari e le misure antiriciclaggio. Insomma, come dire in quel #ventiquattro: io ho messo le mani dove mai sono state affondate, in due anni abbiamo fatto più che in decine d’anni in Parlamento. Che poi piacciano o meno, che funzionino o meno, lo dirà il tempo. Perché sono i numeri che Renzi spende in suo favore: occupazione, meno tasse, pil, arretrato della giustizia civile, stipendi dei superburocrati, mutui o investimenti dall’estero. E gli 80 euro a 10,4 milioni di italiani, poi.
L’orgoglio, appunto. La medicina e la benzina che spera possa essergli utile in vista delle amministrative e di quel referendum d’autunno sull’abolizione del Senato (e non solo) che segnerà uno spartiacque decisivo per il suo Gabinetto.
Ma intanto tra Camera e Senato deve ancora incassare la legge sulla concorrenza, la riforma del processo civile. Perfino qualche collegato dell’epoca di Enrico Letta. Ma c’è ancora tempo. Intanto la fretta renziana ha consentito al Governo di portare a casa le sue leggi in media in 156 giorni. Sebbene la concorrenza navighi in Parlamento da 335 giorni, il collegato (di Letta) sull’agricoltura da ben 736, il processo civile da 347. E da 971 giorni quelle unioni civili che scottano. Numeri che tornano, altri che tornano meno. Come - dati Openpolis - quelli dei ministri che (non rispondono) alle interrogazioni: Maria Elena Boschi è al top col 74% di risposte evase, Andrea Orlando in fondo col 18,6%. Forse non tutti sanno comunicare abbastanza come il premier.
Ma a ognuno il suo mestiere.