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I droni americani a Sigonella per trainare l'Italia in guerra

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La polveriera Libia

I droni americani a Sigonella per «trainare» l’Italia sulle operazioni offensive

I droni armati statunitensi dislocati nella base siciliana di Sigonella potranno volare armati sulla Libia ma solo per effettuare “missioni difensive”. Il governo italiano ha autorizzato dall'inizio dell'anno Washington a impiegare i suoi velivoli teleguidati Reaper sulla nostra ex colonia ma con questa singolare limitazione, come ha riferito ieri il Wall Street Journal.

Le autorizzazioni per l'utilizzo della base di Sigonella per la partenza dei droni anti terrorismo “sono caso per caso ha detto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, precisando che “la priorità è la risposta diplomatica ma se abbiamo prove evidenti che si stanno preparando attentati l'Italia fa la sua parte”.

Secondo il WSJ l'amministrazione Obama sta tentando di persuadere il governo italiano ad autorizzare l'uso dei droni anche in operazioni offensive, come quella condotta venerdì scorso contro il campo dell'Isis a Sabratha (Tripolitania occidentale) in cui sono morti una quarantina di miliziani incluso Noureddine Chouchane, responsabile degli attentati dell'anno scorso in Tunisia, al museo del Bardo di Tunisi e sulla spiaggia di Sousse.
L'incursione è stata effettuata da cacciabombardieri F-15E decollati da Lakeneath, in Gran Bretagna, perché Roma ha rifiutato al Pentagono l'autorizzazione a impiegare i droni armati Reaper basati a Sigonella insieme ai ricognitori strategici teleguidati Global Hawk. Secondo quanto riferisce il giornale statunitense le riserve del governo Renzi ad autorizzare l'impiego su vasta scala dei droni statunitensi sono legate al timore di scatenare l'opposizione interna, specialmente in caso di vittime civili. “Danni collaterali” che in effetti ci sono stati anche nel raid di Sabratha in cui sono morti “involontariamente” due ostaggi serbi detenuti nello stesso edificio colpito dalle bombe statunitensi.
Difficile però, in termini tecnico-operativi e non politici, distinguere tra missioni difensive e offensive. Ad esempio, un intervento armato dei droni a difesa di forze speciali americane o alleate schierate in Libia potrebbe venire considerato difensivo ma già la presenza di truppe e mezzi militari in un Paese straniero costituisce di fatto un'azione offensiva.
Dopo l'articolo del WSJ il ministero della Difesa italiano ha confermato la notizia dell'accordo sottolineando però che l''attività non è comunque ancora iniziata e dovrà essere sottoposta, di volta in volta, all'autorizzazione del governo italiano che darà luce verde solo a missioni a scopo difensivo.

Impossibile però non notare che per la seconda volta in pochi mesi gli Stati Uniti anticipano informazioni legate al ruolo dell'Italia contro lo Stato Islamico che Roma evidentemente non avrebbe voluto pubblicizzare o avrebbe preferito annunciare successivamente.

Nel dicembre scorso Barack Obama riferì pubblicamente della missione delle truppe italiane in Iraq a difesa della Diga di Mosul di cui aveva parlato con Renzi ma che non era (e non è neppure ora) stata definita e ufficializzata. Stessa tecnica utilizzata ieri quando fonti dell'amministrazione hanno riferito al WSJ del parziale via libera di Roma all'impiego dei droni basati a Sigonella sulla Libia. Segnali che confermano la volontà di Washington di trascinare l'Italia nella guerra all'IS, guerra che il governo Renzi non intende combattere in modo diretto come dimostra anche il rifiuto di armare i 4 bombardieri Tornado schierati in Iraq.

Del resto tutti i Paesi che hanno avviato o incrementato le operazioni belliche contro l'Isis (Russia, Francia, Germania e sciti libanesi) hanno pagato un caro prezzo negli ultimi mesi subendo attentati sul proprio territorio o contro i propri cittadini all'estero. In questo contesto è quasi superfluo evidenziare come la diffusione di notizie sulla disponibilità italiana ad autorizzare le incursioni dei droni americani o sull'invio di truppe italiane a pochi chilometri dalla prima linea in Iraq aumentino l'esposizione nazionale al rischio di rappresaglie terroristiche.

Sul piano strategico l'aspetto preoccupante è che , come ha sottolineato il ministro degli Estri Paolo Gentiloni l'uso della base di Sigonella autorizzato dal governo italiano per l'invio di droni americani in Libia “non è un preludio all'intervento militare” di cui si parla da tanto tempo ma che non sembra concretizzarsi. Nessuno, neppure gli statunitensi, intendono muovere una vera guerra all'Isis in Libia favorendo così il radicarsi dei jihadisti e l'ampliamento delle aree sotto la loro influenza. Con i raid di venerdì scorso Washington ha confermato di voler continuare gli attacchi mirati contro i leader dei movimenti jihadisti, da al-Qaeda allo Stato Islamico (campagna varata dall'Amministrazione Bush e ampliata da Obama) non di voler liberare la Libia dagli uomini del Califfato.

Da sottolineare invece che il governo di unità nazionale guidato da Fayez al-Sarraj, ancora in attesa di legittimazione, ha condannato da Tunisi il raid aereo statunitense definendolo “una chiara e flagrante violazione della sovranità dello Stato libico”.
Una dichiarazione forse scontata ma non certo incoraggiante per chi si aspetta che il nuovo esecutivo chieda un intervento militare internazionale contro lo Stato Islamico che sta dilagando in tutta la Libia.

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