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L’eterogenea «banda del no» in ordine sparso

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L’eterogenea «banda del no» in ordine sparso

  • –Nicol Degli Innocenti

La “banda Brexit” è un gruppo eterogeneo di persone che è difficile immaginare insieme, neanche solo per il tempo di prendere un caffè. Schierati a favore di un’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea ci sono aristocratici e populisti, intellettuali e avventurieri, politici di destra e di sinistra. Neanche la comune avversione verso Bruxelles ha potuto farli mettere d’accordo e quindi, invece di presentare un fronte unito in vista del referendum, si sono divisi in gruppuscoli diversi.

La discesa in campo di Boris Johnson aveva fatto sperare agli euroscettici di avere trovato il leader carismatico e unificatore che mancava, ma il sindaco di Londra ha dichiarato di non voler essere il leader del fronte del no. Il suo possibile successore, Zac Goldsmith, candidato conservatore a sindaco della capitale, non può tenergli testa quanto a popolarità. In compenso Goldsmith, al contrario di Johnson che è figlio e fratello di eurofili, ha un impeccabile pedigree: l’eurofobia scorre nelle sue vene.

Zac è infatti figlio di Sir Jimmy Goldsmith, il miliardario che vent’anni fa aveva fondato il Referendum Party per chiedere l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue. Il figlio, di bell’aspetto e con un sorriso mite, è noto soprattutto per la sua passione per l’ambiente ma ora che è stato scelto come candidato sindaco deve tirare fuori gli artigli e scrollarsi di dosso l’immagine di ricchissimo e privilegiato figlio di papà.

Anche all’interno del partito conservatore lo schieramento anti-Ue ha volti molto diversi. La parte dell’intellettuale serio va a Michael Gove, attuale ministro della Giustizia, mentre quella dello snob va all’aristocratico Jacob Rees-Mogg, figlio d’arte che non cela la sua nostalgia per i bei tempi dell’Impero britannico quando Londra governava il mondo invece di subire i diktat di Bruxelles. Il ruolo dell’economista va a un esponente dell’ancien regime, Lord Lawson, ex cancelliere ai tempi di Margaret Thatcher, ora a capo del gruppo Vote Leave che rappresenta quella che lui definisce «la voce della ragione».

Il partito laburista è più compatto, dato che solo nove deputati, contro gli oltre cento Tories, hanno rotto i ranghi schierandosi a favore di Brexit. Tra questi la più battagliera è Kate Hoey, pasionaria di sinistra di lungo corso, veterana di mille battaglie politiche che detesta la Ue perchè poco democratica e poco trasparente.

Un altro esponente della banda Brexit è George Galloway, che non si può dire abbia il savoir faire di Zac Goldsmith ma in compenso ha un certo seguito per i suoi comportamenti eccentrici. Ex amico di Saddam Hussein, ex deputato laburista dell’ala più oltranzista, dopo essere stato cacciato dal partito Galloway ne ha fondato uno nuovo chiamato Respect. Non essendo stato rieletto deputato lo scorso anno, si è consolato con la partecipazione a vari spettacoli di reality tv. Ora il referendum gli ha offerto la possibilità di tornare alla ribalta, e nei giorni scorsi, a sorpresa, si è presentato sul palco sorridente accanto a Nigel Farage.

Un binomio inedito con il leader di Ukip, partito da lui fondato con solo due chiari obiettivi: chiudere le frontiere agli immigrati e uscire subito dall’Unione Europea. Farage, eurodeputato che non è ancora riuscito a entrare a Westminster, vede ora a portata di mano il sogno che coltiva da tempo immemorabile. Nigel e George insieme, con una pinta di birra in mano, puntano a convincere l’uomo della strada che la Gran Bretagna deve restare un’isola in tutti i sensi.

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