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Margini stretti per ulteriori tagli alle tasse nel 2017

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analisi

Margini stretti per ulteriori tagli alle tasse nel 2017

Ora che, con i dati diffusi ieri dall’Istat, il quadro di finanza pubblica si è stabilizzato nelle sue variabili fondamentali (Pil 2015 in crescita dello 0,8%, deficit al 2,6%, debito al 132,6%, pressione fiscale al 43,3%), il convoglio che porterà da aprile a ottobre alla prossima manovra di bilancio può cominciare a mettersi in moto. Anche nel 2016 il deficit scenderà, promette il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Già ma a quale livello si fermerà l’asticella? È la chiave di volta decisiva.

Con le nuove stime del Def di metà aprile si chiarirà l’intero percorso, compresi gli spazi che il Governo spera di poter sfruttare anche nel 2017. Non vi sarà alcuna richiesta di ulteriore flessibilità, almeno non attraverso il ricorso alle clausole previste dalla comunicazione della Commissione Ue del 13 gennaio 2015 (riforme, investimenti), quanto piuttosto la richiesta di poter utilizzare un margine aggiuntivo di deficit rispetto al programmato 1,1 per cento. La trattativa è in corso, e vede impegnati da un lato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, dall’altro il commissario Ue agli Affari economici, Pierre Moscovici e il vice presidente dell’esecutivo comunitario, Valdis Dombrovskis. Far lievitare il deficit nominale del 2017 nei dintorni dell’1,9-2% consentirebbe di evitare per buona parte l’aumento dell’Iva previsto dalle clausole di salvaguardia, che altrimenti scatterebbe dal prossimo anno per circa 15 miliardi. In pratica, verrebbero in soccorso dagli 11 ai 12,6 miliardi di maggior deficit. Nel caso in cui - come auspica Palazzo Chigi - ci si spingesse anche oltre, la disattivazione della clausola di salvaguardia sarebbe garantita integralmente per questa via.

Si punta in particolare all’effetto atteso dalla riforma della Pa in termini di aumento del Pil potenziale, che potrebbe rafforzare la richiesta di ottenere margini di bilancio nel 2017, esattamente come il Jobs act ha garantito la flessibilità accordata per il 2016 (finora per lo 0,4% del Pil). Ma nel carnet compare anche la riforma costituzionale, attesa al responso del referendum confermativo in ottobre, in contemporanea con la presentazione in Parlamento e a Bruxelles della prossima legge di bilancio. E poi, l’invito è a valutare nel loro complesso le riforme messe in campo in questi due anni di governo, che nelle aspettative del Governo dovrebbero esplicare a pieno i loro effetti nel medio periodo.

In questo scenario, sarebbe comunque rispettato l’impegno a ridurre il deficit rispetto al 2,4% atteso per quest’anno (2,5% secondo Bruxelles), anche grazie a una probabile mini-correzione in corso d’anno per ricondurlo nei dintorni del 2,3 per cento. Percorso che subirebbe però un’inevitabile battuta d’arresto, qualora non si riuscisse (ed è questa per la Commissione Ue la precondizione essenziale) a ridurre il debito almeno di qualche decimale. Secondo i calcoli del vice ministro all’Economia, Enrico Morando, alla luce dell’attuale andamento dell’inflazione e di una crescita 2016 inferiore alle previsioni (la stima di un mese fa della Commissione Ue è dell’1,4% contro l’1,6% del Governo), mancherebbero all’appello 8-9 miliardi da recuperare con operazioni di dismissioni (che potrebbero transitare dalla Cassa depositi e prestiti).

Al momento, pur registrando con favore i dati Istat che certificano l’uscita dalla recessione e la sostanziale tenuta dei conti pubblici, il quadro attuale di finanza pubblica non pare tale da aprire grandi spazi per robuste azioni di riduzione della pressione fiscale. Poiché tutto il maggiore deficit che sarà possibile spuntare andrà a finanziare la neutralizzazione delle clausole di salvaguardia, ogni ulteriore intervento dovrà prevedere adeguata copertura attraverso tagli selettivi alla spesa corrente. Rientra in campo il capitolo delle tax expenditures, ma anche il riordino delle società partecipate, oltre alle consuete manovre di contenimento della spesa di competenza delle amministrazioni centrali e periferiche. A una prima ricognizione, sembra però lontano l’obiettivo di un intervento di almeno 10-12 miliardi da indirizzare interamente al taglio delle tasse, via Irpef o via cuneo fiscale. Finora, ci si è attestati su importi inferiori. Occorrerà operare delle scelte. Come finanziare a quel punto la flessibilità in uscita?