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Renzi sfida la sinistra: ci vediamo al congresso

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Renzi sfida la sinistra: ci vediamo al congresso

  • –Manuela Perrone

ROMA

Se non è una dichiarazione di guerra, poco ci manca. All’indomani della tre giorni organizzata in Umbria dalla sinistra dem, Matteo Renzi ricorre alla consueta enews per sfidare la minoranza: «Ai miei compagni di partito che pongono grandi problemi sulla visione strategica della sinistra, in Italia e nel mondo, do appuntamento per lunedì prossimo, in direzione, e soprattutto al congresso del 2017».

L’ironia è lampante. Renzi bolla il dibattito interno «di tutti i partiti (talvolta purtroppo anche del Pd)» come «surreale». Chiude la porta a qualsiasi ipotesi di anticipare il congresso, come la minoranza ha chiesto, e stoppa sul nascere la richiesta di separare le funzioni di premier e segretario. Ricorda che «il risolino» della stampa estera all’annuncio della data di inaugurazione della Salerno-Reggio Calabria è «il simbolo delle tante ironie sull’Italia, contro l’Italia», e rivendica gli 80 euro, la legge elettorale, la riforma del Senato, il tetto agli stipendi dei manager: l’incasso di due anni di governo, il bacio riformista che sta svegliando l’Italia «bella addormentata».

Di nuovo il premier difende le primarie, proprio mentre a Napoli la Commissione di garanzia boccia il ricorso bis di Bassolino: viva quelle «vere, libere, oneste», quelle «in cui chi perde ammette la sconfitta e dà una mano». Altro che «modello aumm aumm», come aveva ironizzato su Facebook il candidato sindaco Cinque Stelle ad Alessandria. Renzi si prende la rivincita: «Due giorni dopo il post lo hanno arrestato con l’accusa di aver scassinato un armadietto per rubare portafogli ai compagni di palestra». Non si accettano lezioni: «La prossima volta aumm aumm ditevelo allo specchio».

Ce n’è per tutti. Ma la minoranza non demorde: tutti scettici sulla direzione di lunedì prossimo. «È un non luogo», sottolinea il senatore Miguel Gotor: «Renzi là ha il 65%». Nico Stumpo cita i numeri dei bersaniani doc, nettamente minoritari: «Vogliono fare un documento invotabile per noi? Si accomodino. Siamo 8 su 200». Mentre Cuperlo insiste (quello di segretario «è un incarico a tempo pieno che non si può fare a mezzo servizio»), Massimo D’Alema torna ad affondare: «Il mio intervento è stato presentato come un appello alla scissione, mentre ho solo sollevato una serie di preoccupazioni e posto dei problemi politici». Peccato che «ho avuto risposte sotto forma di insulti e nessuna replica sul merito».

Di scissione nessuno vuol sentire parlare. Gotor spiega: «Tra la disgregazione del centrodestra e l’inconsistenza dei dirigenti del M5S, il Pd è l’unico partito rimasto. Per questo contiene al proprio interno una conflittualità a sua volta anomala». Ma «è importante che il disegno di Renzi si sia chiarito: sta trasformando il Pd nel perno di un disegno neocentrista. Per combatterlo dobbiamo stare dentro il Pd». Lo evidenzia anche D’Alema: «Dopo essere andati alle elezioni come schieramento di centrosinistra abbiamo una parte della sinistra diventata opposizione e una parte della destra diventata governo». Lo ripete Cuperlo, domandando: «C’è qualcuno che pensa di trasformare l’attuale maggioranza transitoria ed eccezionale in una maggioranza politica per il dopo»? Su questo «Renzi non risponde».

È sullo scacchiere di quel dopo (le politiche 2018) che si muovono le pedine. È sul ruolo dell’Ncd di Angelino Alfano e dei parlamentari di Denis Verdini che la minoranza sollecita lumi. Ed è su alcuni provvedimenti caldi, come la riforma delle banche di credito cooperativo o la legge elettorale per i futuri senatori, che potrebbe passare la ricomposizione. Una tregua utile, soprattutto in vista del referendum di ottobre sulle riforme su cui Renzi ha scommesso la sua carriera politica.

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