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«Brexit ci costerebbe 100 miliardi»

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«Brexit ci costerebbe 100 miliardi»

  • –Nicol Degli Innocenti

londra

Lasciare l’Unione Europea sarebbe un «grave shock per l’economia» che costerebbe alla Gran Bretagna 100 miliardi di sterline e quasi un milione di posti di lavoro entro il 2020: questo il monito lanciato ieri dalla Confederation of British Industry (Cbi), la Confindustria britannica.

Se il referendum indetto per il 23 giugno portasse a Brexit, il risultato sarebbe «un duro colpo per il benessere, per i posti di lavoro e per la crescita economica», con un impatto negativo sugli scambi commerciali e sugli investimenti, ha detto ieri Carolyn Fairbarn, direttore generale della Cbi, citando uno studio indipendente commissionato dalla confederazione alla società di consulenza PriceWaterhouseCoopers.

L’effetto immediato di Brexit sarebbe di frenare la crescita economica, che crollerebbe a zero già nel 2017 e 2018. Lo studio prende in considerazione due possibili scenari: secondo il più fosco il Pil britannico potrebbe calare del 5% se non ci fosse un accordo di libero scambio entro il 2020, mentre secondo il più ottimistico scenderebbe comunque del 3% anche se un’intesa commerciale con gli ex partner europei fosse raggiunta in tempi record.

«L’economia si riprenderebbe lentamente nel tempo, ma non tornerebbe mai ai livelli che avrebbe potuto raggiungere, - ha sottolineato Fairbarn in un discorso alla London Business School –. Lasciare la Ue vuol dire avere un’economia di dimensioni ridotte anche nel 2030». I gravi danni all’economia sarebbero permanenti e il tasso di disoccupazione, che ora è del 5,1%, uno dei più bassi in Europa, salirebbe di 2 o 3 punti percentuali. Il rallentamento economico porterebbe alla perdita di 950mila posti di lavoro.

Lo studio presentato ieri è in linea con altre previsioni delle conseguenze di Brexit. Negli ultimi giorni gli analisti di JPMorgan, Citi, BlackRock e del Centre for Economic Performance della London School of Economics hanno avvertito dei gravi danni potenziali per l’economia britannica, dalla riduzione degli scambi commerciali al calo dell’occupazione, dall’impatto negativo sui servizi finanziari all’indebolimento della sterlina.

In vista del referendum, la Cbi aveva annunciato la settimana scorsa la decisione di scendere in campo contro Brexit dopo che un sondaggio tra i membri ha rivelato una maggioranza schiacciante a favore della permanenza nella Ue. L’80% delle 190mila imprese di ogni dimensione affiliate alla Cbi ritiene che lasciare l’Unione danneggerebbe il loro business, mentre solo il 5% è favorevole all’ipotesi Brexit.

Il fronte pro-Brexit ha definito «propaganda finanziata da Bruxelles» lo studio di PwC presentato ieri. La Cbi, ha ricordato Matthew Elliott, chief executive di Vote Leave, qualche anno fa voleva scegliere l’euro e abbandonare la sterlina: «Avevano torto allora e hanno torto adesso», ha detto.

Le divisioni sull’Europa sono la vera ragione per la “guerra civile” in corso nel partito conservatore, secondo molti esperti. Ieri il premier David Cameron con un appassionato discorso in Parlamento ha tentato di serrare le fila del partito al potere che durante il fine settimana si è lacerato in fazioni contrapposte.

La crisi era partita con le dimissioni a sorpresa di Iain Duncan Smith, ministro delle Pensioni, regista negli ultimi anni di austerità della riforma del sistema di sussidi sociali. La crisi si è poi aggravata domenica, con un’intervista televisiva in cui Duncan Smith ha sparato a zero contro il budget appena presentato dal cancelliere George Osborne e contro il Governo Cameron, accusandoli di penalizzare i poveri e tutelare gli interessi dei ricchi. A scatenare l’ira del ministro sarebbe stata la decisione «profondamente ingiusta» di Osborne di tagliare di altri 4 miliardi di sterline i sussidi per i disabili. I tagli ieri sono stati “archiviati” dal Governo, e Osborne deve rivolgere altrove le sue forbici per far quadrare i conti.

Il partito laburista all’opposizione ha chiesto le dimissioni di Osborne e il ritiro della finanziaria, definita «caotica», ma Cameron ha difeso il suo cancelliere, dichiarando di avere la massima fiducia in lui.

Molti deputati e analisti politici sono convinti che dietro la querelle sui sussidi ci siano in realtà i contrasti sull’Europa. Duncan Smith infatti è un euroscettico dichiarato, favorevole a un’uscita dalla Ue, mentre Cameron e Osborne vogliono che la Gran Bretagna resti membro dell’Unione.

In vista del referendum Cameron ha concesso a ministri e deputati libertà di schierarsi e fare campagna elettorale secondo coscienza, portando a un’esplosione delle divisioni interne al Governo e al partito che finora erano tacite o sommerse.

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