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Ue in ordine sparso sulla sicurezza

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Ue in ordine sparso sulla sicurezza

  • –Giuseppe Chiellino

È dall’attacco a Charlie Hebdo a gennaio 2015 che i vertici delle istituzioni europee sono consapevoli che non c’è più differenza tra difesa da minacce esterne e sicurezza interna per 500 milioni di cittadini europei. Questo legame è ripetuto fino alla noia nei documenti e nelle decisioni sulla lotta al terrorismo e sulla sicurezza. La realtà, però, è che la sicurezza interna ed esterna dell’Unione europea resta affidata sostanzialmente ai governi nazionali.

Questo significa che esistono 28 servizi segreti nazionali che rispondono ciascuno al proprio governo, gelosi dei propri contatti e delle proprie informazioni, diffidenti gli uni con gli altri e tra i quali la collaborazione è difficile e macchinosa. Buchi nella sicurezza, inefficienze operative e sprechi di risorse sono il risultato inevitabile. Così come accade nella difesa militare: con 28 eserciti nazionali la Ue, nel suo complesso, è seconda solo agli Stati Uniti per spesa militare. Ma è ben lungi dall’essere la seconda potenza militare. Il primo tentativo di costituire un esercito comune europeo risale al 1950 con la proposta francese della Comunità europea di difesa, affondata dagli stessi francesi qualche anno dopo. Da allora gli Stati membri non sono andati al di là di una modesta collaborazione intergovernativa, un «patchwork di accordi bilaterali e multilaterali» circoscritti, come si legge in qualche documento della Commissione.

Per dare l’idea delle inefficienze che comporta l’esistenza di 28 forze armate nazionali, basta confrontare dotazioni e investimenti con quelli degli Stati Uniti: secondo una ricerca della Commissione Ue, gli “europei” hanno in dotazione 154 tipi di sistemi di armamento diversi, gli americani solo 27. Gli eserciti Ue hanno 17mila carri armati contro i 27.500 degli Usa ma sono ben 37 modelli diversi contro i 9 americani. Lo stesso vale per aerei da combattimento e per aerei cisterna. Anche la capacità di intervento rapido di jet ed elicotteri d’attacco o per il trasporto è limitata in molti Stati membri. Le spese per equipaggiamento e in ricerca & sviluppo in Europa non superano 24mila euro per soldato (-30% tra 2006 e 2014) mentre superano i 100mila euro negli Usa.

Le difficoltà di bilancio di molti governi europei impediscono di aumentare il budget per la difesa e per la sicurezza che tra il 2005 e il 2014 ha subito tagli di circa il 9%. Negli Stati Uniti, che sono sempre i “top spender” militari, le spese sono rimaste stabili mentre altrove gli investimenti in armi ed eserciti sono cresciuti a ritmo incalzante: +97% in Russia, +167% in Cina, +112% in Arabia Saudita, + 39% in India.

Si stima che mettere insieme le forze armate dei 28 permetterebbe risparmi per oltre 20 miliardi di euro, circa il 10% delle spese complessive per la difesa, a fronte di capacità militare superiore e di maggiore efficienza operativa.

Di costituire un’agenzia europea dell’intelligence si era parlato anche a novembre scorso, subito dopo la strage del Bataclan a Parigi. Nel giro di pochi giorni l’ipotesi avanzata dalla Commissione era naufragata di fronte alla ferma opposizione dei governi nazionali: «Non posso immaginare che siamo pronti a perdere la nostra sovranità nazionale su un tema così delicato», aveva detto Thomas de Maizière, ministro degli Interni tedesco.

Ed ecco il punto: la cessione di sovranità. Come su altri fronti, è questo lo scoglio politico contro cui in Consiglio si infrange sempre più spesso il processo di integrazione europea. Ma è velleitario per qualsiasi Paese illudersi di poter essere autosufficiente dal punto di vista militare e per la sicurezza interna. Già a giugno dello scorso anno l’Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza, Federica Mogherini, aveva avuto l’incarico di definire entro giugno 2016 «una nuova ed ampia strategia europea per la politica estera e la sicurezza» superando quella adottata nel 2003. I tempi decisionali delle istituzioni Ue, già normalmente lunghi, si dilatano ancora di più e i veti si moltiplicano quando si va a toccare la sovranità delle capitali. Ma l’incalzare degli eventi potrebbe portare ad una accelerazione, come è accaduto altre volte, e determinare un nuovo corso per la difesa e la sicurezza comuni.Il primo impulso, dunque, sarà in ogni caso politico. E sarà anche quello più difficile perché comporta una scelta di fondo sull’idea di integrazione europea che si vuole realizzare. I precedenti più recenti, come l’Unione bancaria o la gestione dell’emergenza immigrati, non lasciano spazio all’ottimismo. Ma qui - davvero - è in gioco la sopravvivenza dell’Unione.

Se questo primo passo sarà compiuto, diventerà più semplice sciogliere gli altri nodi: quello giuridico per superare il paradosso dell’articolo 42 (7) del trattato Ue che prevede la mutua assistenza in caso di attacco militare o terroristico ma lascia ai singoli Stati la scelta sulle modalità con cui fornirla, senza prevedere un ruolo per le istituzioni comuni, come invece prevede l’articolo 222 del trattato sul funzionamento dell’Ue. Sarà inevitabile, poi, aprire la discussione sul budget dell’Unione, con il conseguente riequilibrio delle risorse oggi destinate soprattutto alle politiche agricole e di coesione. Non sarà da trascurare, infine, l’aspetto industriale: uno degli ostacoli da superare è proprio l’interesse degli stati membri di difendere l’industria nazionale della difesa.

.@chigiu

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