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Conti pubblici, flessibilità cruciale per le riforme

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Centro studi confindustria

Conti pubblici, flessibilità cruciale per le riforme

Se non si rivedranno i confini temporali della flessibilità, concessa al momento dalla Ue per un solo anno, per l'anno prossimo c'è il rischio che l'Italia debba mettere in campo una manovra da 24 miliardi. Lo scrive il Centro studi di Confindustria, ricordando che «in Italia, nel 2016, grazie all'utilizzo della flessibilità si avrà una minore riduzione del deficit di bilancio strutturale pari a 0,6 punti di Pil (più di quella consentita pari a 0,4) ma nel 2017 e nel 2019, se si desse seguito a quanto previsto dal Patto di stabilità e crescita la restrizione dovrebbe essere almeno dello 0,5% del Pil l’anno. Se si tiene conto delle clausole di salvaguardia che sono ancora attive, la correzione nel 2017 dovrebbe essere di 1,4 punti, circa 24 miliardi, nel 2018 di ulteriori 0,2 e nel 2019 di 0,5 punti». La flessibilità, scrivono Alessandro Fontana e Luca Paolazzi, «è cruciale per il successo delle riforme strutturali» e «richiede una revisione nella dimensione e nei tempi di rientro» perché «politiche restrittive» possono «azzerare gli effetti positivi».

Una manovra da 24 miliardi, si legge ancora nella nota del Csc sarebbe «un aggiustamento che avrebbe la forza di soffocare i benefici delle riforme e condurre, politicamente, a bloccare il processo stesso. In questo senso, è positivo che si stia negoziando per allentare la stretta nel 2017». In sostanza secondo il Csc la clausola sulla flessibilità così com'è ora (consentita un solo anno al massimo per lo 0,5% e recuperando la deviazione nei tre anni successivi) non funziona, intanto perché «non incentiva quelle riforme che possono comportare un costo superiore e protratto» per più di un anno. C'è da considerare poi che «gli effetti positivi delle riforme sulla crescita» possono essere «percepiti da imprese e famiglie solo dopo qualche anno. Se si intende incentivare davvero le riforme - spiega il Csc - occorre consentire ai governi che le realizzano di acquisire e mantenere il consenso necessario a proseguire tale processo, lasciando degli spazi di manovra del bilancio per sostenere la loro azione». Anche perché «agevolare le riforme un anno e poi dal successivo imporre la riduzione del deficit, e quindi politiche restrittive, fa aumentare la percezione dei costi sociali delle riforme stesse e spinge verso il loro rigetto: rigetto sociale che riduce l'efficacia delle riforme; rigetto politico che può sostanziarsi in un cambio di governo che conduce a ripudiare quanto fatto dal precedente».

In sostanza, così com'è strutturata ora la flessibilità «diventa elevato il rischio di azzerare l'efficacia delle riforme stesse, a causa degli effetti recessivi delle manovre necessarie a riassorbire la deviazione consentita dalla clausola». Per il Csc occorre quindi «rendere più graduale il sentiero di rientro, recuperando lo spirito originario della flessibilità, aumentare l'ammontare massimo della deviazione consentita e prevedere tempi di rientro più lunghi. Va, inoltre, rivista la metodologia di stima del Pil potenziale, poiché quella adottata dalla Commissione europea comporta disavanzi strutturali molto più elevati rispetto a quanto calcolato da Fmi e Ocse, richiedendo, quindi, aggiustamenti di bilancio più consistenti».

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