Rischia di fermarsi il “Texas d’Italia”: 1,6 miliardi di investimenti internazionali nel giacimento Tempa Rossa, l’area petrolifera più importante sulla terraferma europea.
Mentre gli italiani (molti dei quali sono ecologisti soltanto a parole) hanno interrotto la caduta dei consumi energetici e nel 2015 hanno ripreso a bruciare a tutta forza petrolio e metano, mentre rallentano le produzioni energetiche nazionali facendo crescere le importazioni, rischiano di fermarsi gli investimenti energetici in una delle Regioni diventate fra le più attrattive d’Italia. L’inchiesta di Potenza, che ipotizza reati, che ha messo sotto indagine 37 persone e che ha costretto Federica Guidi a dimettersi dall’incarico allo Sviluppo economico, mette sotto tiro la più importante area petrolifera europea tre settimane prima del referendum sulla durata delle concessioni per le piattaforme in mare.
Il giacimento
Le rocce nelle profondità sotto la Basilicata sono impregnate di petrolio: la val d’Agri e Tempa Rossa sono la più importante area petrolifera su terraferma d’Europa, senza contare quanto si nasconde dove quelle rocce proseguono e sprofondano sotto il golfo di Taranto.
La “struttura geologica” della val d’Agri e di Tempa Rossa continua sotto il fondale del mar Ionio e la Shell — prima di essere stata costretta mesi fa a fuggire dalle paure antipetrolifere della riottosa Italia — aveva programmato investimenti importanti per estrarre quelle risorse in fondo al mare.
La sorgente del greggio
Il petrolio, in Basilicata, è così generoso che sgorga anche da solo. A volte il greggio trafila dalle colline. A Tramutola (Potenza) c’è anche la sorgente del petrolio. Sorgente naturale. Alle spalle del campo sportivo, tra le faggete, l’aria non ha il profumo di un bosco di mezza montagna bensì ha l’odore penetrante e inconfondibile un distributore di benzina: il ruscello è un rivolo naturale di petrolio, e durante la guerra vi si rifornivano i camion del Regio esercito e della Wehrmacht. E poi quel petrolio — litri ogni ora — corre nella valle e si accumula in un lago messo sotto accusa per l’inquinamento da idrocarburi.
Il progetto Tempa Rossa
Tempa Rossa è il nome di uno dei due grandi giacimenti di petrolio e di metano della Basilicata. Fu scoperto nel 1989 fra alcuni paesi arroccati in quota sull’Appennino Lucano, cioè Corleto Perticara, Gorgoglione e Guardia Perticara. Luoghi aspri e dolci da cui, finché non è arrivata la Total, le persone fuggivano alla ricerca di un futuro.
Il giacimento Tempa Rossa è gestito dalla compagnia francese Total (in termine tecnico si chiama operatore) in associazione con le compagnie Mitsui e Shell. L’investimento previsto è 1,6 miliardi. Il giacimento potrebbe produrre ogni giorno 50mila barili di petrolio, 230mila metri cubi di metano, 240 tonnellate di Gpl e 80 tonnellate di zolfo purissimo. Tempa Rossa potrà rappresentare circa il 40% della produzione di petrolio in Italia.
La Total nel 2006 aveva firmato con la Regione Basilicata un accordo quadro per dividere con la cittadinanza il valore del giacimento: impegni ambientali, royalty a Regione e Comuni, incentivi agli enti locali, piani di promozione sociale ed economica.
Gli impianti in costruzione
Non è ancora cominciata l’estrazione del gas e del greggio a Tempa Rossa. Si tratta di perforare meno di una decina di pozzi per raggiungere le rocce imbevute di idrocarburi, ma per alcuni di questi pozzi manca ancora l’autorizzazione dell’amministrazione pubblica. È in costruzione il centro oli, uno stabilimento nel quale il petrolio estratto avrà una prima pulizia per togliere lo zolfo contenuto al suo interno.
Gli impianti bloccati
Poi dalle montagne della Basilicata il greggio con un oleodotto sarà mandato a Taranto, dove la raffineria dell’Eni lo trasformerà in benzina, gasolio e altri prodotti. I lavori a Taranto sono bloccati da anni per le proteste e per l’opposizione delle amministrazioni locali.
Il progetto di Taranto costituisce per il futuro della città una speranza per molti, ma per altri rappresenta una preoccupazione. Senza gli impianti di ricezione del petrolio, resta paralizzato anche il giacimento di Tempa Rossa sulle montagne della Basilicata. Taranto è il “rubinetto” da cui poter spillare il vino dalla botte. Lavori e lavoro. La ripresa dell’attività per il porto, dove la crisi dell’Ilva ha frenato l’approdo di navi. Il rilancio della raffineria dell’Eni.
La val d’Agri e l’Eni
Nella zona c’è l’altro grande giacimento, forse anche più grande di Tempa Rossa, che l’Italia sfrutta da molti anni. È quello dell’Eni in Val d’Agri. Anche il giacimento della Val d’Agri è sotto inchiesta: fra le accuse c’è quella di avere rimmesso in modo irregolare nel sottosuolo le acque sotterranee uscite dalla roccia insieme con il petrolio. Di averle classificate con codici scorretti dei rifiuti. Da dove viene quest’acqua? È nel giacimento, mescolata insieme con il petrolio. Quando si estrae il greggio, con esso sgorga anche acqua. Viene ripompata in profondità nelle rocce in cui aveva riposato per milioni d’anni. Però, dal momento che prima di tornare sotto è state pompata alla luce, è classificata come rifiuto, e come tale va trattata.
Scienza e contestazioni
C’è chi accusa l’Eni per questa attività di ripompaggio dell’acqua nel sottosuolo. L’Eni aveva affidato a un eminente ecotossicologo uno studio, secondo il quale il petrolio che contamina le sorgenti non è quello delle perforazioni; è lo stesso petrolio che sgorga naturalmente dalle sorgenti di tutta la zona. Altri scienziati hanno ribattuto che lo studio è stato condotto in modo sbagliato.
In Basilicata i cittadini sono divisi fra chi apprezza i benefici in termini di benessere e servizi ai cittadini offerti da queste risorse locali, e chi contesta le conseguenze sull’ambiente locale. Alcune associazioni — fra queste spicca l’Ola (Organizzazione lucana ambientalista) — sono molto attive e in diversi casi hanno ottime capacità di analisi scientifica e ambientale.
Il tesoro
Gli investimenti rischiano di fermarsi ancora una volta, mentre sempre più aziende del settore — Shell, Petroceltic, Transunion — nelle ultime settimane hanno abbandonato i progetti nell’Italia che sembra volere sempre più petrolio a patto che sia solo di importazione.
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