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Dossier Ancora uno scacco ai patrimoni della criminalità organizzata

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Ancora uno scacco ai patrimoni della criminalità organizzata

Ormai ci si abitua a tutto ma a certe cose è più facile. E' il caso dei sequestri e delle confische alla criminalità organizzata che, grazie all'opera incessante della Dia (la Direzione investigativa antimafia) e della Gdf, continuano a ritmo incessante. L'opinione pubblica, quando ne viene informata compiutamente, deve tirare un sospiro di sollievo perché non c'è nulla di più produttivo per combattere le mafie e i sistemi criminali che svuotarne il portafoglio.

Il 4 aprile – tanto per rimanere ancorati alla settimana non ancora conclusa – i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria di Bari e dello Scico di Roma, con la Squadra mobile della Questura di Foggia hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 11 persone (7 in carcere, 3 ai domiciliari ed 1 sottoposto all'obbligo di presentazione presso la polizia giudiziaria) ed il sequestro preventivo, preordinato alla confisca per '”sproporzione”, di beni mobili ed immobili nella disponibilità, diretta ed indiretta, degli indagati. Un sequestro di ben 41 milioni.

L'inchiesta della Procura verte sull'assoggettamento estorsivo posto in essere con metodo mafioso, in forma continuata e diversificata, ai danni di imprenditori e società operanti nell'indotto di un settore altamente strategico per l'economia locale, quale quello legato alla produzione e alla trasformazione alimentare dei prodotti dell'agricoltura, da parte di soggetti organici o comunque contigui alle batterie Sinesi/Francavilla (denominati convenzionalmente dalle vittime come i “Rodolfi Vecchi”) e Moretti/Pellegrino (denominati sempre convenzionalmente come i “Rodolfi Nuovi”), articolazioni della più vasta organizzazione criminale di tipo mafioso denominata “società foggiana”.
Le pretese estorsive prevedevano non solo la forzata elargizione di somme di denaro, con cadenza mensile, in favore dei principali esponenti delle due “batterie” indicate ma anche l'assunzione “fittizia”, come lavoratori dipendenti delle aziende delle vittime, di soggetti indicati dalle compagini malavitose, divenuti quindi beneficiari di salari mensili senza fornire alcuna controprestazione lavorativa.

L'assoggettamento delle vittime risulta ulteriormente documentato dal fatto che la compagine imprenditoriale non si è limitata a pagare tangenti (anche sotto forma di stipendi a fronte di prestazioni lavorative fittizie), ma era solita assecondare passivamente anche le richieste di assunzioni lavorative “effettive” avanzate dagli esponenti delle due “batterie”.

Lo stesso giorno, la Direzione investigativa Antimafia di Agrigento ha eseguito la confisca di beni a carico di Simone Capizzi, 73enne, e del figlio Giuseppe, 50enne, entrambi originari di Ribera (Agrigento), entrambi detenuti, considerati da investigatori e inquirenti elementi di spicco di Cosa nostra agrigentina.

I provvedimenti di confisca, emessi dalla prima sezione penale del Tribunale di Agrigento, seguono le indagini economico-patrimoniali delegate alla Dia dalla Procura distrettuale di Palermo.

I provvedimenti di confisca, che riguardano complessivamente 10 terreni e 3 fabbricati del valore complessivo stimato in oltre 800.000 euro, traggono origine dall'esito dalle indagini svolte dalla sezione operativa della Dia di Agrigento, da cui è emerso che, nei primi anni '90, alcuni soggetti, formali intestatari degli immobili, avevano venduto o promesso in vendita gli stessi alla famiglia Capizzi, tramite scritture private non registrate e senza formalizzare la compravendita, con il fine di eludere eventuali provvedimenti di sequestro.
r.galullo@ilsole24ore.com

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