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A Roma i giorni della verità

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l’omicidio del ricercatore al cairo

A Roma i giorni della verità: al via il vertice degli investigatori

ROMA - Al via a Roma due giorni di incontri tra gli investigatori italiani e quelli egiziani sul caso Regeni. Per l'Egitto sono presenti due magistrati e tre ufficiali di polizia egiziani, per l'Italia il procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone, il pm Sergio Colaiocco e gli investigatori del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato e del Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri che seguono il caso. Gli egiziani arrivano al tavolo con un dossier sulla morte del ricercatore italiano di 2mila pagine che include un esame compiuto su 200 persone di diverse nazionalità che avevano rapporti con la vittima. Ma non è detto che si tratti dei documenti richiesti più volte dall'Italia, ritenuti indispensabili per fare passi in avanti verso la verità, dopo i depistaggi - ultimi quello di un omicidio commesso da una banda di rapinatori; e di un “incrocio” tra l'omicidio Regeni e un traffico di reperti archeologici gestito da una banda locale - da parte delle autorità egiziane, censurati pubblicamente dal governo italiano.

L'interesse italiano è su più fronti, a cominciare dai video dei luoghi frequentati da Regeni il 25 gennaio (giorno della scomparsa), nel tentativo di individuare il ricercatore, o suoi amici, o persone la cui identificazione può essere di interesse investigativo. E le immagini video potrebbero essere utili - secondo gli investigatori - per individuare furgoni o automobili sospette, che potrebbero in qualche modo essere in collegamento con la scomparsa di Regeni. L'Italia chiede con insistenza anche i dati raccolti dalle celle telefoniche dei luoghi sicuramente frequentati quel 25 gennaio da Regeni, la cui “lettura” potrebbe dare una svolta decisiva alle indagini; e, inoltre, ogni elemento raccolto dalle autorità egiziane relativo al periodo dal 25 gennaio al 3 febbraio, data, quest'ultima, del ritrovamento del cadavere.

Come ha sottolineato il premier Matteo Renzi, accanto ai magistrati c'è la «determinazione» di tutta l'Italia. Siamo impegnati a che su Regeni non sia una verità di comodo ma la verità. Aspettiamo che i magistrati facciano i loro incontri: noi siamo pronti a seguire quel lavoro con grandissima determinazione» ha detto Renzi in un forum al Mattino di Napoli. Il premier ha avvertito che da parte dell'Italia non sarà accettato alcun «tentativo di svicolare rispetto alla verità», la quale è «dovuta» alla famiglia di Regeni ma anche all'Italia e ai suoi storici rapporti con l'Egitto. Del resto, come noto, Roma è un partner strategico per il Cairo e fonte di circa sei miliardi di dollari di investimenti l'anno, concentrati su settori prioritari come quello dell'energia. E, assieme alla Germania, l'Italia è il principale partner commerciale europeo dell'Egitto.

Un legame geopolitico ed economico che renderebbe ancora più clamorose le mail anonime inviate a “La Repubblica” da un presunto elemento della polizia segreta egiziana secondo il quale nella morte del giovane ricercatore friulano sarebbe coinvolto direttamente il presidente Abdel Fattah Al Sisi. L'ex generale egiziano infatti resta al momento uno dei principali danneggiati da una vicenda che rischia di fargli perdere un grande alleato (l'Italia) proprio mentre appare sotto pressione da parte degli Usa e di poteri interni o esterni agli apparati egiziani. La sorte della relazione tra Italia e Egitto è comunque in mano alla Procura di Roma. «Lasciamo che lavorino i magistrati e alla fine vedremo se hanno raggiunto l'obiettivo della verità o no» ha esortato Renzi dopo che il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni martedì aveva sottolineato che sarà la Procura della Repubblica a valutare se c'è stato un «cambio di marcia» rispetto alla collaborazione «generica e insufficiente» dimostrata finora dalle autorità egiziane o se invece dovranno scattare le «misure immediate e proporzionali» contro il Cairo.

Sul volo Alitalia arrivato in serata a Fiumicino, tra l'altro, non c'era Khaled Shalabi, il generale della Sicurezza nazionale incaricato delle indagini pur essendo già stato condannato nel 2003 per aver torturato a morte un uomo: secondo alcune fonti citate dal quotidiano “La Stampa” sarebbe lui il “capro espiatorio” che l'Egitto starebbe per sacrificare sull'altare dei rapporti con l'Italia.

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