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Visco: «La politica monetaria ha aiutato l’Italia»

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Visco: «La politica monetaria ha aiutato l’Italia»

Il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, rivendica il ruolo della politica monetaria della Banca centrale europea nel far ripartire l'economia dell'eurozona e nel far uscire l'Italia dalla recessione, ma soprattutto nell'evitare la deflazione. La Bce, dice Visco in un'intervista al Sole 24 Ore, dovrà continuare ad agire «con decisione», a fronte di un'inflazione che resta lontanissima dall'obiettivo di avvicinarsi al 2 percento, «comprando tempo» perché la politica fiscale e le riforme strutturali mostrino i loro effetti. I tassi d'interesse possono restare a livelli molto bassi ancora a lungo, afferma, «ma certo non permanentemente».

Il governatore spiega che le nuove misure della Bce, varate il mese scorso, puntano soprattutto sull'espansione del credito all'economia reale, ed è fiducioso che le banche siano in condizioni di rispondere. Quelle italiane, rassicura, anche se hanno un fardello pesante di crediti deteriorati, eredità della crisi, hanno fatto accantonamenti pari al 60% dei 210 miliardi di sofferenze lorde e presentano garanzie reali pari a circa il 40%.

Visco è intervenuto giovedì a Francoforte all’annuale kermesse degli Ecb Watchers, molto a suo agio in un consesso di economisti, oltre che di banchieri centrali, organizzato dall’ex capo economista della Bundesbank e della Bce, Otmar Issing, uno dei decani del central banking. Visco, allora capo della ricerca all’Ocse, era sul podio anche della prima edizione, nel 1999, quando l’euro era appena nato. Giovedì, ha lanciato un messaggio “politico” importante sul futuro della moneta unica. «In questa unione monetaria imperfetta, penso che alla fine mantenere per un lungo periodo la moneta senza uno Stato sia impossibile», ha detto. E a chi osservava che le banche centrali non possono concentrarsi solo sulla stabilità dei prezzi ignorando la stabilità finanziaria, ha citato Tommaso Padoa Schioppa, ricordando che la stabilità finanziaria è nel Dna dei banchieri centrali. E in un accenno alle banche centrali caricate di tutte le responsabilità, ma anche primo «caprio espiatorio» se qualcosa non funziona, si è sentita un’eco delle recenti vicende italiane.

Nell’intervista, Visco sollecita l’importanza del ruolo degli altri attori della scena europea, ribadendo che la politica monetaria non può fare da sola e chiedendo ai Governi europei che la politica fiscale sia “consapevole” del suo ruolo e che le riforme strutturali mettano le basi per una crescita di lungo periodo. Ma non manca un appunto sulla vigilanza bancaria, che qualcuno accusa di frenare mentre la Bce cerca di spingere: se è pro-ciclica, può limitare l’impatto della politica monetaria, dice. Al traguardo della solidità del sistema bancario, condiviso da tutti, bisogna arrivare «gradualmente». Tenendo conto dei mercati, che, come si è visto con le turbolenze di questo inizio d’anno, non fanno sconti a nessuno.

In Italia, il governatore dà atto del contributo delle politiche di bilancio, anche se entro i margini di manovra limitati dalle regole europee, e degli interventi sul mercato del lavoro, ma si aspetta di più dalle riforme strutturali. Intanto, sembra avviata alle battute finali una nuova soluzione per le sofferenze e per gli aumenti di capitale delle banche in maggiore difficoltà, ma su questo, banchiere centrale della vecchia scuola, Visco sceglie di non parlare, finché il lavoro non sia completato.

Governatore Visco, la politica monetaria della Banca centrale europea sta perdendo efficacia?

La prova controfattuale è sempre difficile, ma abbiamo chiare indicazioni che la politica monetaria nell'ultimo anno e mezzo ha avuto un forte impatto. Prima dell’introduzione delle nostre misure, le previsioni di crescita per l’eurozona erano notevolmente più basse, per l’Italia ancora di più. Secondo stime che abbiamo fatto in Banca d’Italia, senza le misure di politica monetaria inflazione e crescita nell’area euro sarebbero state più basse di uno 0,5% l’anno nei tre anni dal 2015 al 2017. La Bce ha stime analoghe. In Italia, la crescita sarebbe tornata solo nel 2017. Ma sono stime per difetto: se fosse partita la deflazione sarebbe stato molto difficile fermarla, con conseguenze molto più pesanti.

In Italia quindi la fine della recessione va attribuita alla sola politica monetaria della Bce?

Non è così. Come abbiamo indicato nel Bollettino economico dello scorso gennaio, anche le politiche di bilancio hanno fornito un contributo rilevante, seppure di un ordine di grandezza più contenuto, dato che i margini di manovra per queste ultime sono inevitabilmente limitati dall’alto debito pubblico e dalla necessità di rispettare le regole europee. Abbiamo anche sottolineato che i provvedimenti sul mercato del lavoro (Jobs Act e sgravi contributivi) hanno stimolato sia una ricomposizione delle assunzioni a favore dei contratti a tempo indeterminato sia l’espansione dei livelli occupazionali complessivi. In prospettiva, un ulteriore rilevante contributo, ancorché non facile da quantificare nell’intensità e nei tempi, potrà provenire dal dispiegarsi degli effetti dell’azione di riforma strutturale..

Il vostro mandato riguarda però l’inflazione, che dovrebbe stare sotto, ma vicina al 2 per cento. L’eurozona è oggi a -0,1, dopo un anno e mezzo di sforzi per farla risalire.

Ma dove sarebbe finita senza le misure della Bce? L’inflazione dipende anche da fenomeni transitori, come il calo del prezzo del petrolio, ma questi possono avere effetti di secondo impatto e innescare una spirale deflazionistica quando a una riduzione del livello dei prezzi corrisponde una successiva diminuzione dei salari nominali; segnali che questo è possibile provengono da alcuni casi di contratti collettivi recentemente siglati in Italia. Ciò rende ancora più necessario che la politica monetaria agisca con decisione al fine di contrastare la disinflazione e agevolare la ripresa della domanda aggregata. L’eurozona è un’area a disoccupazione ancora molto alta; dopo la crisi i salari nominali sono divenuti più reattivi alla disoccupazione in Francia, Italia e Spagna; si può stimare che da noi a una riduzione della disoccupazione di 3 punti percentuali corrisponderebbe una maggior crescita salariale annua di poco meno di 1 punto percentuale. È un effetto importante. Poi c’è la domanda mondiale, che nel 2015 ha subito una serie di shock che non erano prevedibili all’inizio del programma. Sono stati venti contrari molto forti. I rischi geopolitici infine hanno prodotto un calo del commercio internazionale ed enormi flussi di rifugiati. Questi ultimi possono avere un effetto positivo di breve termine sulla domanda, ma in genere tutti questi fenomeni creano un’incertezza che non fa bene all’attività economica.

La politica monetaria si sta spingendo sempre più in là, per esempio con i tassi d’interesse negativi sui depositi delle banche presso la Bce, una misura molto criticata in Germania e dalle banche. Ora, con l’introduzione delle Tltro2, i nuovi finanziamenti alle banche, state puntando di nuovo sull’espansione del credito all’economia reale. Ma funzionerà, dato lo stato delle banche?

Intanto, la politica monetaria non può e non deve fare tutto; deve fare quello che le richiede il mandato della Bce, quindi assicurare la stabilità dei prezzi. E per farlo deve sostenere la domanda, comprando anche tempo perché dispieghino i loro effetti gli interventi di bilancio e le riforme strutturali. I tassi possono restare a livelli molto bassi ancora a lungo, ma certo non permanentemente. Le Tltro2, nelle quali le banche vengono tanto più “premiate” quanto maggiore è l’attività di prestito, sono anche un modo per evitare che i tassi negativi abbiano effetti controproducenti sui loro bilanci, e quindi sull'economia.

Come si vede se ha funzionato?

Guardiamo ai canali di trasmissione della politica monetaria. Il credito ha cominciato a riprendersi in termini di volumi, il costo è calato nettamente, in Italia più che altrove, la frammentazione si è ridotta. In alcuni Paesi, fra cui l’Italia, le condizioni ereditate dalla crisi, come l’elevato ammontare di sofferenze che pesa sui bilanci delle banche, hanno frenato in parte questi miglioramenti. In Italia ci sono 210 miliardi di euro di sofferenze lorde, per effetto della lunga contrazione dell’economia: ma prima di tutto va detto che, anche su nostra sollecitazione, le banche hanno già fatto accantonamenti pari a quasi il 60% di questo valore; ci sono inoltre garanzie reali per un ammontare pari a circa il 40%. Nel periodo più recente, inoltre, vi sono stati progressi anche su questo fronte. Il ritmo di crescita delle sofferenze è sceso; il rapporto tra crediti deteriorati e totale dei prestiti si è stabilizzato. Ma ripeto, la crescita di lungo periodo non dipende dalla politica monetaria, ma dalla crescita potenziale, su cui devono agire le riforme strutturali. La domanda fra l’altro è frenata non solo da fattori globali, come il rallentamento della Cina e la contrazione di altri grandi paesi emergenti, come Russia e Brasile: pesa l’incertezza, che blocca gli investimenti. E il tentativo di dare un impulso pubblico agli investimenti in Europa, il Piano Juncker, finora non è decollato.

Si è esaurita la spinta data alle esportazioni dall’indebolimento dell’euro.

L’andamento del cambio ha favorito un recupero delle esportazioni, non come scelta di policy, ma riflettendo le differenze tra la politica monetaria nell’area dell’euro e negli Stati Uniti, che ora si stanno attenuando. Ma alla fine la competitività è data dalla produttività.

Lei ha parlato anche del ruolo della politica fiscale. Però ci sono limiti imposti dalle regole europee.

Dico solo che ci vuole una politica di bilancio, anche a livello europeo, che definirei più consapevole del ruolo che deve esercitare. Un tempo si parlava di “policy mix” appropriato, un’espressione che è passata di moda. Ma è chiaro che una politica monetaria espansiva che si confronta con una politica di bilancio non sufficientemente attiva e una politica di vigilanza sulle banche che agisce in senso pro-ciclico, trova dei limiti nel suo impatto.

Qualcuno sostiene che una vigilanza troppo rigida finisce per vanificare i tentativi della politica monetaria di far ripartire il credito.

È importante distinguere fra il traguardo finale che vogliamo raggiungere nel creare un sistema bancario solido e il sentiero che si percorre per raggiungerlo. Ovviamente bisogna fare i conti con il mercato: come abbiamo visto all’inizio del 2016, alcuni episodi possono creare turbolenze di più vasta portata. Ci vuole molta attenzione anche sulla comunicazione. Ma è necessario che questo sentiero venga percorso gradualmente.

La Banca d’Italia, insieme al Governo e alle banche, è al lavoro su una soluzione per le sofferenze e gli aumenti di capitale delle banche in situazione più critica. Come procede?

Di questo penso sia opportuno parlare quando il lavoro sarà completato.

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