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Imprenditore e tecnico per gestire la complessità

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Imprenditore e tecnico per gestire la complessità

La rimodulazione del rapporto fra imprenditore e impresa è in atto. Ma va intensificata. Nell’Italia delle fabbriche si inizia a scorgere il profilo di un nuovo imprenditore. La traiettoria storica del Paese giolittiano e einaudiano – una economia agricola, la piccola impresa privata e una industria in prevalenza pubblica – è stata deviata dalla seconda guerra mondiale, che ha introdotto l’Italia nel circuito del fordismo. Nel secondo dopoguerra operai e tecnici hanno fondato aziende imitando i meccanismi organizzativi delle imprese da cui uscivano. Negli anni Settanta e Ottanta la deverticalizzazione dei grandi gruppi – la Fiat e la Olivetti, la Montedison e la Pirelli – ha esternalizzato pezzi delle fasi produttive formando una generazione di nuovi imprenditori. Dagli anni Novanta, la crisi del paradigma della grande impresa e la modernizzazione finanziaria hanno favorito la diffusione di management buy in e di management buy out attuati da dirigenti industriali diventati neo-imprenditori (Esaote e Intek). «Oggi – suggerisce l’economista Innocenzo Cipolletta – il capitale di rischio e il ritrovato link fra l’impresa e la ricerca universitaria si ricollegano a una nostra cifra antica». Nel gioco di specchi della storia l’attualità – fatta anche di startup e venture capital – rimanda infatti a fine Ottocento e a inizio Novecento. Giuseppe Colombo, il rettore del Politecnico di Milano che con i brevetti acquisiti fonda la Edison e illumina la Scala. L’ingegnere Giovanni Battista Pirelli, che in Francia per una borsa di studio scopre la trattazione del caucciù. Camillo Olivetti, che accompagna il suo professore Galileo Ferraris negli Stati Uniti, si imbatte nelle macchine per scrivere e torna in Italia per fondare nella piccola Ivrea la sua impresa. La traiettoria verso il futuro, dunque, appare segnata da una serie di discontinuità, come il riemergere del fiume carsico di lungo periodo del collegamento fra università e impresa finalizzato ad una innovazione radicale, e da una serie di costanti. «La costante principale – nota il sociologo Daniele Marini – è l’atmosfera marshalliana». Una miscela di capitale sociale e di capitale umano che alimenta i meccanismi generativi degli imprenditori: ancora oggi oltre la metà degli imprenditori sono ex tecnici e ex operai che si sono messi in proprio. La crisi ha prodotto fratture e discontinuità. Ora, nel rapporto fra impresa e imprenditore, si è introdotta l’ossessione della innovazione. Non solo tecnologica. Ma anche di marchio e organizzativa, il grande handicap del sistema industriale italiano. Il nostro Paese è nel fiume della storia e nel flusso del futuro. Ci sono le imprese. E ci sono gli imprenditori. Per i quali, nella naturale mutevolezza delle cose e dei tempi, resta valido il canone fissato nel 1904 da Max Weber in “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”: «Uomini formati nella dura scuola della vita, calcolatori e audaci al tempo stesso, ma soprattutto riservati e costanti, completamente dedicati all’oggetto della loro attività». Allora come adesso.
Nell’Italia del 2016.

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