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Le aziende a caccia delle risorse per ripartire

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Le aziende a caccia delle risorse per ripartire

Una montagna di risparmio. Che però non riesce ad affluire verso il sistema delle imprese. Il presidente dell’Aifi Innocenzo Cipolletta dal palco di Parma indica nelle scelte dei fondi pensione italiani uno dei nodi da risolvere per provare a rilanciare l’economia nazionale, fornendo al sistema la linfa necessaria per la crescita. «L’investimento di questi veicoli privilegia titoli di stato oppure società quotate, spesso estere perché in Italia manca la materia prima. C’è quindi il paradosso di vedere i risparmi privati italiani andare ad aiutare imprese straniere».

«E questo accade - aggiunge Daniele Marini dell’Università di Padova - anche perché in Italia manca una “narrazione” dell’impresa, un racconto che evidenzi il valore sociale della stessa». Ma non solo. Perché ci sono anche «nuovi paladini», aveva ricordato in apertura di giornata il presidente di Confindustria Emilia-Romagna, Maurizio Marchesini, che in Italia fanno della «cultura anti-impresa uno strumento ideologico a proprio favore, spesso per puri fini elettorali». Per questo Confindustria deve lavorare per «contrastare» con tutte le forze questo atteggiamento.

Cipolletta resta comunque ottimista, e vede in realtà una nuova fase di sviluppo in Italia proprio grazie alla partnership tra università, ricerca e finanza, dove si sta ricreando un legame che era forte in passato: «sono estremamente ottimista - spiega - perché a mio avviso stiamo creando i nuovi imprenditori che faranno crescere il paese». Visione condivisa solo in parte dalle imprese, che nell’accesso ai fondi in più di una circostanza sono in difficoltà. «Le nostre imprese - spiega Alberto Bauli, presidente dell'omonimo gruppo dolciario - restano piccole anche perché c’è una difficoltà nel reperire capitale di rischio. Il risparmio privato italiano è ampio ma da noi non esiste un mercato obbligazionario che colleghi le famiglie all’impresa. Più in generale, in termini di immagine, la stessa impresa non è vista come elemento fondante della nostra società». Bauli non risparmia critiche alla sua stessa categoria, «spesso, nell’imprenditore abile ad inventare, manca la strumentazione culturale che serve per crescere», ma chiede anche alle banche un salto di qualità in termini culturali, provando ad andare oltre la mera logica del conto economico per iniziare ad approfondire i temi del prodotto e del mercato: erogando credito, cioè, sulla base di una maggiore conoscenza dell’azienda.

Svolta non banale, nel momento in cui ogni aspetto della vita aziendale si modifica con rapidità. «Siamo nati nel ’56 - spiega il presidente di Robur Benito Guerra - ma ormai di quel mondo nella nostra azienda non c’è più nulla. In termini di processi e prodotti (legati al riscaldamento) il rinnovamento è continuo e io credo che la crisi da questo punto di vista offra anche l’opportunità di accelerare il cambiamento lanciando progetti per il futuro».

Tesi confermata da Marco Gay, presidente dei giovani di Confindustria e vice presidente di Digital Magics. «Sono partito da un’azienda familiare - spiega - che poi abbiamo venduto, per ricominciare da capo con una nuova avventura, ora modificata ancora entrando in un gruppo molto più grande. Il cambiamento è la regola, non dobbiamo mai stare fermi. Sempre avendo come obiettivo, per noi imprenditori, l’impatto positivo sia nell’azienda che nel territorio in cui si lavora». Anche Gay vede nelle dimensioni aziendali ridotte un possibile limite alla competitività e chiede in particolare alle aziende familiari di provare a guardare oltre il presente, aprendo il capitale a soggetti esterni, in grado di rilanciare le opportunità di crescita.

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