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Mersch: la Bce resti flessibile

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Mersch: la Bce resti flessibile

  • –Riccardo Sorrentino

Lasciate alla Bce la scelta degli strumenti da adottare. Potrebbe essere letto così l’intervento di Yves Mersch, componente del consiglio direttivo della Banca centrale europea, al Workshop Ambrosetti sulle «Prospettive per l’economia e per la finanza». Con questa interpretazione, gli obiettivi polemici impliciti del suo discorso - una difesa della flessibilità della Bce e del quantitative easing - sono allora i tentativi tedeschi di limitare lo spazio della politica monetaria.

«Scegliere lo strumento efficiente è stato essenziale», ha detto Mersch. «Una restrizione degli strumenti, per esempio costringendo la Banca centrale a usare i tassi come unico strumento di politica monetaria, avrebbe forse portato a risultati disastrosi per Eurolandia». L’indipendenza degli strumenti si è così «dimostrata cruciale nel rispondere alle varie minacce alla stabilità dei prezzi che abbiamo affrontato negli anni recenti».

Il nodo che divide la Bce dai tedeschi è sempre il confine - sempre elusivo - tra la politica monetaria e quella fiscale. È evidente che modificare i tassi di interesse aiuta o complica la vita dei governi, anche se non solo quella dei governi; e che acquistare titoli di Stato, sia pure sul mercato secondario come accade nel quantitative easing, abbassa il costo del debito. Mersch ha però voluto respingere l’idea che la Bce si stia muovendo troppo liberamente. Gli strumenti scelti, ha detto, devono essere adatti allo scopo, necessari - nel senso che manca un’alternvativa - e proporzionati in senso stretto: i vantaggi devono superare i costi. Il qe, ha continuato rispetta tutti questi criteri: è adatto perché gli acquisti abbassano il costo del credito, incentivano la concessione di prestiti, quindi l’attività economica, quindi l’aumento dei prezzi; è necessario perché gli acquisti di titoli - relativi ai covered bond e agli Asset backed securities (Abs) - si sono rivelati insufficienti; soprattutto, è proporzionato, ed è su questo punto che Mersch si è dilungato, perché questo criterio «agisce come meccanismo di disciplina nella scelta dello strumento».

Questa parte del discorso del banchiere centrale - che è più un giurista che un economista - è apparsa più delle altre una risposta alle critiche tedesche. La Bce, ha detto, ha posto alcune salvaguardie per evitare di oltrepassare i limiti: per esempio «non acquista titoli vicino alla data di una nuova emissione, il che facilita la formazione di prezzi di mercato» (anche se, bisogna aggiungere, le aspettative giocano comunque un ruolo molto incisivo, anche durante un’interruzione degli acquisti). Esistono inoltre limiti per gli acquisti che agiscono sulle singole emissioni e sull’emittente. Tutto questo evita - ha detto Mersch - che venga aggirato il divieto di finanziare i governi previsto dal Trattato. Per garantire inoltre il funzionamento del mercato, la Bce cerca di evitare che venga azzerata, nei rendimenti, quella parte che segnala il rischio per gli investitori.

Il punto più significativo è stato però il paragone usato da Mersch per concludere. È un paragone molto caro agli ordoliberali tedeschi, tra i quali c’è oggi Jens Weidmann, presidente della Bundesbank: quello del codice della strada, che ordina il traffico lasciando la libertà di circolare. Usare i propri strumenti in modo proporzionato, ha detto Mersch, «è come guidare un’auto con prudenza: in dipendenza dalle condizioni delle strade e del tempo, usiamo diversi pneumatici, acceleriamo, freniamo, e così tentiamo di viaggiare sempre alla velocità ottimale. Il divieto di finanziare i governi, in contrasto, è una norma di circolazione: un segnale di stop deve essere rispettato in qualunque condizione siano strade e tempo. Un aperto finanziamento monetario di un aumento del deficit fiscale per stimolare la domanda aggregata non sarebbe legalmente possibile anche in una fase di trappola della liquidità».

È immediata però la conseguenza, che Mersch non trae: il gioco tra norme e scelta di “prudenza” fa sì che le esigenze incorporate nel Trattato - quelle di una politica fiscale ordinata - abbiano la precedenza su qualunque altra sempre, anche in una situazione estrema come l’attuale che richiederebbe forse un approccio più pragmatico (e vincoli diversi). È proprio questa preferenza automatica che rende non del tutto irragionevoli, oggi, in questa fase, le critiche alla struttura che tiene insieme Eurolandia.

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