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Dossier | N. 25 articoli17 aprile / Il referendum sulla durata delle trivellazioni in mare

Con le «trivelle» meno dipendenza energetica e risorse ai territori per ambiente e cultura

Comunque vada a finire, il Paese ne esce impoverito, oltre che di investimenti, anche di capacità di fare economia. Questo è l'unico risultato certo della faida politica su un campo, quello dell'energia, che dovrebbe essere strategico, sopra le parti, con obiettivi condivisi da tutti. Fra questi, come accade in tutti i paesi del mondo, c'è quello di ridurre la dipendenza dall'estero da importazioni da energia. Siamo il paese fra quelli industrializzati che ha storicamente, fin dai tempi dell'Unità, la più alta dipendenza, con una quota intorno all'80% dei nostri consumi di 171 milioni di tonnellate equivalenti petrolio (Mtep) nel 2015. Di queste, 115 Mtep sono petrolio e gas, le fonti di cui si discute in questi giorni, di cui 104 vengono importate dall'estero con un costo annuale, sempre nel 2015, di 30 miliardi di euro.

La produzione nazionale, di 11 Mtep, ha un valore di 3 miliardi di euro all'anno, volume di fatturato che genera reddito ed economia nel nostro paese e a cui nei prossimi anni dovremmo rinunciare, perché da noi la partita ormai è persa. Non è molta la produzione all'interno delle 12 miglia, 2,5 Mtep con un valore di mezzo miliardo di euro all'anno. L'abbandono, eventualmente nel caso di vittoria del “sì”, non avverrebbe subito, ma nell'arco dei prossimi 20 anni, man mano che le concessioni arrivano a scadenza.
Indipendentemente dal referendum, di nuovi progetti da noi non se ne fanno più. Nel 2014 le trivellazioni per la ricerca di nuovi giacimenti sono state zero, il minimo storico dal dopoguerra, da quando cominciò la ricostruzione del paese, partendo proprio dalle trivelle che portarono in superfice il metano nella Pianura Padana.
Nei primi anni '90 le perforazioni di nuovi giacimenti erano superiori a 50 all'anno, oggi progetti importanti non ce ne sono più. Sotto Mantova si sa che ci potrebbe essere un mega giacimento di petrolio, ma fra gli esperti se ne parla a bassa voce per non irritare. In provincia di Novara, un giacimento di grande dimensione sicuro, simile a quello di Trecate che ha prodotto in 20 anni 15 Mtep, non si può sviluppare per l'opposizione delle autorità locali.

La Basilicata, da tempo ha vietato nuove esplorazioni, pur avendo sotto ancora molte riserve, e ha limitato la produzione in Val d'Agri a 5 Mtep anno, quando invece tecnicamente potrebbe essere superiore del 50%. Tempa Rossa, il giacimento in Basilicata della Total con una produzione potenziale di 2,5 Mtep anno, sarà un miracolo se si farà dopo gli ultimi scandali. La Shell ha rinunciato a gennaio ad un investimento da 1 miliardo di euro per sviluppare un giacimento simile a quello della Val d'Agri che si trova davanti a Taranto, questa volta all'interno delle 12 miglia. La regione Veneto, indipendentemente dal colore politico dei governatori, da oltre 10 anni si oppone allo sviluppo di riserve di gas per 25 Mtep del Nord Adriatico per timori, non accertati, di subsidenza. Un patrimonio che non riusciamo a sviluppare, ma che ci avrebbe consentito di raddoppiare la produzione nazionale verso i 20 Mtep anno, livello già raggiunto nel 1991. Per raddoppiare la produzione sarebbero stati necessari investimenti dell'ordine di 15-20 miliardi di euro che avrebbero generato commesse per le nostre imprese, soprattutto quelle della metalmeccanica, che si trovano nei distretti di Ravenna, Piacenza, Parma, Pescara, Viggiano, Siracusa, Gela e Milano dove si trovano circa 20 mila addetti.

Dei 30 miliardi di euro che ogni anno trasferiamo all'estero, la gran parte va alla Russia, ai paesi Opec del Medio Oriente, alla Libia e all'Algeria. Avremmo potuto tenerne 6 miliardi di euro nella nostra economia, ma presto anche i 3 miliardi di produzione attuale scenderanno a zero, per buona pace dell'ambientalismo integralista. I 3 miliardi di euro di oggi che rimangono vengono così ripartiti: 10% di royalties, soprattutto per le regioni, 40% di altra tassazione per lo Stato e 50% a copertura di costi operativi, ammortamenti dei vecchi investimenti e profitti per le imprese, che poi li danno agli azionisti come dividendi. Le royalties delle regioni servono a migliorare il loro tessuto economico, sociale e culturale. Caso emblematico è quello della Basilicata: in 18 anni di produzione della Val d'Agri, ha incassato 1,6 miliardi di euro impiegati per finanziare imprese, per sostenere la ricerca, per riqualificare i centri urbani, per attività sportive e culturali, per recuperi architettonici, per creazione di percorsi museali. Indirettamente, riducendo le esigenze di cassa della Regione sulla sanità e sui trasporti, ha permesso investimenti sulla cultura che hanno spianato la strada a Matera 2019.

In vista di questa scadenza, c'è chi sogna un'espansione della pista Mattei, piccolo aeroporto a Pisticci, 47 chilometri a sud di Matera, realizzato appunto dal fondatore dell'Eni quando trivellava nella val Basento negli anni '50. Avesse la regione lasciato produrre di più, attualmente ci sarebbero anche i soldi per l'aeroporto e, cosa più urgente e sensata, per fare finalmente una ferrovia fra Matera e Bari degna di una città europea della cultura. Chi più ci rimette da questa guerra è proprio il Sud, la parte d'Italia che più ha bisogno di sviluppo e che dovrebbe favorire e non allontanare gli investimenti, anche quelli complessi. Di petrolio e gas ce ne sarà bisogno ancora per molto tempo in Italia e nel mondo e ciò rimane un'occasione da sfruttare, nel pieno e incondizionato rispetto dell'ambiente.

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