Avendo passato la scorsa settimana a leggere tutti i giornali italiani per la trasmissione radiofonica «Prima Pagina», posso dire con competenza di causa che del referendum del 17 aprile p.v. (il cosiddetto «referendum sulle trivelle») si parla pochissimo. Al di là delle posizioni dei vari partiti, sarebbe utile che gli italiani fossero informati sul quesito referendario e sulle possibili conseguenze in caso di approvazione o meno del medesimo.
E non si vota su nuovi pozzi petroliferi, sul dilemma energia fossile o alternativa, né tantomeno sul giacimento di Tempa Rossa. Non si vota neppure sulle trivelle. Si vota semplicemente per decidere se abrogare il rinnovo automatico delle concessioni sui pozzi già esistenti che sono localizzati entro le 12 miglia dalla nostra costa.
Nessuno dei due fronti mette in dubbio la legge secondo cui – all'interno di quei limiti – non si debbano fare nuovi pozzi. Nessuno dei due fronti mette in dubbio che – qualora prevalga il Sì –, il permesso di estrazione possa essere comunque rinnovato. Se vince il Sì, l'unica differenza è che questo rinnovo non è più automatico, ma deve essere concesso di caso in caso, alla scadenza della concessione originaria. Ma allora, tanto rumore per nulla?
Per comprendere la risposta è utile un po' di teoria economica. In particolare è utile ricordare il teorema di Ronald Coase (1910-2013), che valse nel 1991 il premio Nobel al mio compianto collega. Il teorema recita che – sotto alcune ipotesi – l'allocazione dei diritti di proprietà non influenza l'efficienza economica, ma solo la distribuzione del reddito. Per quanto l'enunciato possa apparire arcano, può essere spiegato molto semplicemente nel caso del nostro referendum. Il teorema dice che se il beneficio dell'estrazione di gas e petrolio è superiore ai costi (anche quelli imposti all'ambiente), l'estrazione continuerà sia che il referendum passi o che non passi. Viceversa se i costi per la comunità sono superiori ai benefici derivanti dall'estrazione, l'estrazione sarà sospesa sia che vinca il Sì o che vinca il No. L'unica differenza è chi si appropria del surplus. L'idea è molto semplice. Se la società concessionaria dei pozzi guadagna molto da un pozzo, sarà disposta a pagare la concessione fino all'intero valore del pozzo. Se questo valore è superiore alla somma dei costi imposti alla comunità dall'estrazione, il concessionario troverà sempre profittevole pagare per la concessione e continuare ad estrarre. Viceversa se la concessione viene automaticamente rinnovata, ma i danni imposti alla comunità sono superiori al valore del petrolio estratto, sarà la regione a pagare il concessionario per bloccare l'estrazione e, dato che i costi sono superiori ai benefici, per evitare i costi ambientali la regione sarà disposta a pagare abbastanza da compensare adeguatamente il concessionario. Il referendum è allora assolutamente inutile?
No. La decisione influenzerà chi deve pagare chi. La vittoria del Sì costringerà i concessionari a pagare le Regioni per estrarre più combustibile fossile, mentre con la vittoria del No saranno le Regioni a dover pagare le società petrolifere per smettere di estrarre. La vostra decisione di voto, quindi, dipenderà da quale allocazione del surplus riteniate preferibile. Non è sempre ovvio che la prima sia da preferire alla seconda. Se in passato le società petrolifere hanno dovuto sostenere costi molto elevati per trivellare i pozzi, assicurare loro un adeguato ritorno aiuta la credibilità del Paese. Ma se così non fosse, il rinnovo automatico sarebbe un regalo alle società oggi concessionarie.
Come per tutti i teoremi, però, anche quello di Coase vale solo se le assunzioni sottostanti sono verificate. Tra queste quella cruciale è l'assenza dei cosiddetti «costi di transazione», ovvero i costi di coordinare le parti interessate e di negoziare un accordo, per non parlare dei ritardi che queste negoziazioni provocano. Per semplificare l'analisi consideriamo il caso estremo in cui questi costi di transazione siano tali da impedire qualsiasi negoziazione tra le parti. In questo caso, l'esito referendario non avrà solo effetti redistributivi, ma può influire anche sull'efficienza del risultato finale. In particolare, se pensate che la ricchezza prodotta dai pozzi ecceda il danno ambientale, allora il rinnovo automatico delle concessioni – che assicura che l'estrazione continui – è auspicabile e dovete votare No. Se invece pensate che il danno ambientale – per esempio la subsidenza del fondale che porta ad un'erosione delle coste – ecceda i benefici, allora dovete votare Sì.
La realtà – come sempre – sta nel mezzo. I costi di transazione non sono nulli, ma neanche infiniti. Per di più non sono neppure uguali tra le parti. Se non vi interessano gli effetti distributivi, ma solo l'efficienza economica, il vostro voto dovrà dipendere da quale scenario considerate più probabile e da quale costo di transazione ritenete più elevato. Una vittoria del Sì produrrà la soluzione ottimale se non è socialmente conveniente continuare ad estrarre e se è relativamente facile per i concessionari convincere le Regioni sulla bontà di continuare le estrazioni nei casi in cui sia socialmente desiderabile continuare le estrazioni. Viceversa una vittoria del No, produrrà la soluzione ottimale se è socialmente conveniente continuare ad estrarre o se è relativamente facile per le Regioni trovare i soldi per pagare i concessionari affinché interrompano le estrazioni, quando non è socialmente desiderabile continuare ad estrarre. La scelta è vostra. Almeno ora siete informati.
© Riproduzione riservata