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Dossier Trivelle, quello che c’è da sapere sul referendum

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Dossier | N. 25 articoli17 aprile / Il referendum sulla durata delle trivellazioni in mare

Trivelle, quello che c’è da sapere sul referendum

Ci potete spiegare il quesito referendario?
Volete voi che sia abrogato l'art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell'art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di Stabilità' 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale?

In termini più semplici, si chiede: volete voi che, allo scadere delle autorizzazioni di legge (“Concessioni”) per l'estrazione già accordati dall'Amministrazione dello Stato, gli impianti cessino le loro attività, anche se il giacimento contiene ancora idrocarburi producibili con profitto, ovvero non è ancora “esaurito”?

Si ricorda che ciò vale solo per gli impianti di estrazione collocati nella fascia di mare compresa entro le 12 miglia marine dalla costa. Se vince il sì, alla scadenza delle Concessioni (che di norma hanno una durata di 20 anni, con possibilità di ulteriore prima proroga di 10 anni e successive di 5 anni), le compagnie petrolifere dovranno obbligatoriamente cessare l'attività di estrazione da questi impianti. Il fermo non sarebbe immediato, ma occorrerebbe attendere la scadenza delle Concessioni in esercizio. Se vince il no (o l'astensionismo), alla scadenza delle Concessioni, le compagnie petrolifere potranno eventualmente richiedere un prolungamento dell'attività, qualora le valutazioni tecnico/economiche riconoscano che esiste ancora un certo volume di idrocarburi producibili con profitto (“vita utile”).

Secondo i dati pubblicati dal MISE, in Italia sono installate 135 strutture di estrazione offshore, di cui 92 poste entro il limite, e 43 poste oltre il limite delle 12 miglia marine dalla costa.

Quali sono le caratteristiche peculiari delle trivellazioni marine in Italia, che le differenziano da quelle di altre regioni del mondo? Ad esempio, ci sono delle differenze nella profondità di perforazione? Se sì, quali conseguenze determinano a livello tecnico e di pericolosità?

Per fare chiarezza da subito: le perforazioni dei pozzi attualmente produttivi sono state fatte in passato, e di norma un impianto di estrazione non necessita la perforazione di nuovi pozzi aggiuntivi. Le attività industriali di estrazione di petrolio e gas sono, in qualche modo, “slegate” dall'attività di perforazione dei pozzi. Normalmente un giacimento di idrocarburi inizia la sua fase di estrazione (“produzione”, in gergo tecnico) e può arrivare alla fine della sua “vita utile” estraendo petrolio o gas dai pozzi realizzati nella primissima fase di esercizio della Concessione. L'eventuale rinnovo di una concessione non implica automaticamente che il concessionario sia autorizzato a perforare nuovi pozzi.

In Italia attualmente esistono numerosi impianti di estrazione di idrocarburi offshore, quasi tutti collocati su strutture fisse poggianti sul fondale marino, e non galleggianti come quella ben nota che ha generato l'incidente del Golfo del Messico (che peraltro era un natante di perforazione, e non un impianto di estrazione di idrocarburi). Inoltre, la stragrande maggioranza delle acque di competenza nazionale in cui si producono idrocarburi (soprattutto gas naturale) hanno profondità di poche decine di metri (e non 1500 metri come nel caso del Golfo del Messico).

Le peculiarità dell'attuale industria petrolifera nell'offshore italiano possono essere così sintetizzate:
•Assenza di perforazioni esplorative in acque profonde (oltre i 500 m di profondità d'acqua).

•Quasi il 95% della produzione di idrocarburi offshore italiana è gas naturale, e non petrolio greggio.

•Condizioni di giacimento, in termini di pressione e temperatura, molto meno gravose delle oltre 800 atmosfere del pozzo in cui è avvenuto l'incidente del Golfo del Messico.

•Ampia conoscenza dei dati geologici, giacimentologici e strutturali, raccolti dai quasi 6000 pozzi perforati negli ultimi 80 anni in Italia; tale conoscenza è proficuamente utilizzata nella progettazione e nel controllo delle attività minerarie di esplorazione, perforazione e di estrazione.
•Adozione di tecnologie e standard di sicurezza che hanno consentito, negli ultimi decenni, di perforare oltre 300 pozzi a mare e circa 400 a terra senza conseguenze negative (peraltro, questi standard non sottraggono gli operatori a un continuo impegno per migliorare le condizioni di sicurezza e i criteri di controllo delle operazioni).

•Attività di esplorazione, di perforazione e di estrazione eseguite con tecnologie e standard di sicurezza conformi ai livelli più elevati tra quelli utilizzati dall'industria petrolifera mondiale.

Si rileva che le reazioni seguite all'incidente del Golfo del Messico sono state caratterizzate da prese di posizioni radicali che, assimilando tra loro ambienti operativi molto diversi, hanno rinnovato la richiesta di abbandonare ovunque e definitivamente, sic et nunc, ogni nuova attività di ricerca di idrocarburi nei mari italiani. Si ritiene invece particolarmente importante il confronto sia con i Paesi dell'UE, sia con tutti gli Stati mediterranei, al fine di armonizzare le diverse azioni di tutela ambientale e di sicurezza relative alle attività petrolifere, in una logica di sistema integrato per l'emergenza, in particolare per le attività di ricerca del greggio, che sono prevalenti nelle acque del Mediterraneo meridionale. Infatti, tenendo conto della morfologia del Mar Mediterraneo e della vicinanza di Paesi, soprattutto quelli nordafricani, che hanno una notevole attività petrolifera offshore (anche con numerosi temi a greggio), un'eventuale moratoria della ricerca o sospensione delle attività di produzione esistenti nelle acque dei mari italiani, richiesta da alcune parti, avrebbe senso solo se sarà adottata a livello di bacino Mediterraneo.

Un importante passo in tal senso è stato quello della Commissione europea, che ha avviato un'approfondita analisi delle attuali norme adottate nell'intera Unione Europea e dai suoi Stati Membri. Lo studio è sfociato nella redazione del documento “Affrontare la sfida della sicurezza delle attività offshore nel settore degli idrocarburi”, nel quale si riporta come, benché l'Unione disponga già di esempi eccellenti di pratiche normative nazionali (tra le quali figurano, a buon diritto, quelle italiane), un'armonizzazione “verso l'alto” dell'attuale quadro normativo potrebbe ulteriormente migliorare la sicurezza di tali attività. Sulla scorta di tali risultanze, il 27 ottobre 2011, la Commissione Europea ha adottato lo schema di “Proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio sulla sicurezza delle attività offshore di prospezione, ricerca e produzione nel settore degli idrocarburi” (Regolamento Offshore), che ha come obiettivo quello fissare elevati standard di sicurezza per la prospezione, la ricerca e la produzione di idrocarburi offshore, riducendo le probabilità di accadimento di incidenti gravi, limitandone le conseguenze e aumentando la protezione dell'ambiente marino.

Il MISE ha partecipato attivamente ai lavori, mediante la formulazione di osservazioni e proposte volte ad accrescere gli standard di sicurezza europei. La Proposta di Direttiva è stata approvata prima dal Consiglio dell'Unione Europea, poi dal Parlamento Europeo e, infine, pubblicata in Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea il 28 Giugno 2013 come Direttiva 2013/30/UE del 12 giugno 2013 sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi, che modifica la direttiva 2004/35/CE.

Il nuovo regolamento stabilisce norme precise per l'intero ciclo delle attività di prospezione e produzione, a partire dal progetto di un impianto di produzione offshore di petrolio o di gas sino al suo smantellamento. Sotto il controllo delle autorità nazionali di regolamentazione, l'industria europea dovrà periodicamente valutare e migliorare le norme di sicurezza per le operazioni offshore. Questo nuovo approccio condurrà a una valutazione europea del rischio continuamente aggiornata, in quanto terrà conto delle nuove tecnologie e conoscenze e dei nuovi rischi. La normativa introduce requisiti per un'efficace prevenzione e un'efficace risposta in caso di incidenti gravi.

In Italia, la Direttiva 2013/30/UE è stata recepita con il Decreto Legislativo 18 agosto 2015, n.145 (Attuazione della direttiva 2013/30/UE sulla sicurezza delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e che modifica la direttiva 2004/35/CE). Il Decreto legislativo si inserisce in un quadro normativo già esistente in materia di sicurezza e di protezione del mare dall'inquinamento che ha finora garantito, attraverso una rigorosa applicazione e costanti controlli da parte delle strutture tecniche del Ministero dello sviluppo economico, in collaborazione con gli altri enti competenti, il raggiungimento dei più alti livelli europei di sicurezza per i lavoratori e l'ambiente, con incidenti e infortuni tendenti allo zero e comunque sei volte inferiori a quelli del complesso industriale produttivo.

Infine, si ricorda che il 9 agosto 2013 è stato emanato un Decreto Ministeriale che ha ridefinito le aree marine di competenza italiana in cui è consentito svolgere attività di prospezione e ricerca di idrocarburi offshore, vietando di fatto ogni nuova attività di prospezione e ricerca entro le 12 miglia dalla costa. Il decreto è stato giudicato particolarmente restrittivo dall'industria del settore, poiché ha ridotto l'estensione di tali aree dai precedenti 227.160 km2 agli attuali 139.656 km2.

Tra le piattaforme che estraggono metano e quelle che estraggono petrolio, quali presentano il maggior rischio di generare gravi inquinamenti ambientali? Da che cosa sono determinati questi rischi e come si cerca di ridurli?
Dipende dal materiale estratto. Il petrolio greggio ha meccanismi di degradazione nell'ambiente marino molto più complesse e lente di quelle del gas naturale (che semplicemente si disperde in atmosfera). Non ci risulta che in Italia si siano mai verificati episodi di rilascio incontrollato nell'ambiente di petrolio o gas naturale a seguito di operazioni di estrazione di idrocarburi. Ovviamente, tutti i possibili scenari di incidente sono studiati e contemplati nei piani di sicurezza e nelle valutazioni di impatto ambientale che precedono il rilascio delle Concessioni.

Il limite delle 12 miglia dalla costa ha anche un significato tecnico oppure si tratta solo di un aspetto ambientale/paesaggistico?
Non vi è alcun significato tecnico o di sicurezza. Si tratta di un aspetto puramente “ambientale/paesaggistico”.

Esiste un problema tecnico legato alla eventuale chiusura di impianti di estrazione non ancora esauriti? Come lo si affronta e quali sono le tecnologie all'avanguardia in questo senso?
Non si tratta di una pratica tecnologica corrente (nessun paese ha mai “chiuso” giacimenti ancora produttivi in massa), e quindi non ha senso parlare di una “tecnologia all'avanguardia”. Eventualmente, occorrerà valutare con attenzione ogni singolo caso, come peraltro succede nell'applicazione di qualsiasi soluzione ingegneristica.

Ci sono informazioni relative al fatto che, in caso di mancata approvazione del referendum, le piattaforme attive vorranno rinnovare le concessioni oppure rinunciare a questo diritto per esaurimento del giacimento o per altre motivazioni?
Non ci risulta che esistano informazioni o dichiarazioni al riguardo. In generale, però, i giacimenti offshore italiani sono piuttosto “maturi”, e negli ultimi 15 anni gli investimenti delle compagnie petrolifere per la ricerca di nuovi giacimenti offshore sono stati praticamente azzerati, e questo non per motivi tecnici (“non esistono più giacimenti”), ma per difficoltà di tipo autorizzativo e di accettabilità sociale (“burocrazia”). Si ricorda che “nell'autunno scorso le compagnie petrolifere avevano programmato investimenti in Italia per circa 16,2 miliardi. Ora le imprese del settore hanno tagliato i programmi. Meno di 6 miliardi di euro. Un colpo pesante è venuto dalla Legge di stabilità che a fine dicembre, nel tentativo di evitare il referendum, ha reintrodotto il divieto di cercare e sfruttare i giacimenti nelle acque territoriali. Il tentativo di evitare il referendum non è riuscito, ma nel frattempo sono sparite dallo scenario economico 8 su 9 istanze di concessione per giacimenti in mare perché si trovano del tutto o in parte dentro le 12 miglia dalla costa”. (Giliberto 2016).

Esistono dei piani di gestione dell'emergenza in caso di incidente? Ritiene che siano già adeguati o che sarebbe necessario apportare qualche modifica?
Esistono dettagliati piani di gestione dell'emergenza. Da sempre, lo Stato italiano attribuisce primaria importanza al lavoro, e pertanto salute e sicurezza sono da sempre temi di forte interesse per il legislatore. A questo riguardo, si ricorda che l'Italia è dotata di una legislazione vasta e uniforme sul territorio nazionale, che è divenuta nel tempo sempre più moderna e all'avanguardia, equiparandosi o superando gli standard normativi e di controllo internazionali. L'Italia ha una lunga storia di normative che disciplinano le attività di perforazione e produzione a mare. Attualmente, la normativa nazionale di sicurezza mineraria colloca l'Italia tra i Paesi più all'avanguardia in questo settore.


Prof. Ing. Paolo Macini
Prof. Ing. Ezio Mesini
Professori di Ingegneria dei giacimenti di idrocarburi
Scuola di Ingegneria e Architettura, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna

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