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Listini o collegi: la battaglia per la «scelta» dei senatori

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Listini o collegi: la battaglia per la «scelta» dei senatori

Listini ad hoc, listini ad hoc con preferenza, preferenza diretta, collegi uninominali... Sembra un film già visto, quello della modalità di “scelta” dei futuri 74 senatori-consiglieri che andranno a comporre il Senato delle Regioni assieme a 21 sindaci e a 5 personalità di nomina presidenziale. Eppure l’accordo nel Pd che a settembre scorso ha permesso il decisivo ultimo via libera del Senato ha portato sì a inserire nella Costituzione riformata il principio che i futuri senatori saranno «scelti» dagli elettori in concomitanza con le elezioni regionali, ma in che modo saranno «scelti» è ancora tutto da stabilire. Ed è questo uno dei punti ai quali la minoranza del Pd ha legato il suo sostegno al referendum confermativo che si terrà tra ottobre e novembre. Sarà quindi una legge ordinaria, in attuazione della riforma, a stabilire i dettagli sulla composizione del nuovo Senato (ché l’elezione resta giuridicamente di secondo grado, ossia saranno i Consigli regionali ad eleggere al loro interno i rappresentanti che saranno anche senatori).

Naturalmente la legge ordinaria in questione non potrà essere approvata prima di conoscere i risultati del referendum confermativo, che potrebbe appunto bocciare la riforma vanificando anche le leggi attuative. Ma certo un accordo politico - come da settimane chiede la minoranza del Pd - si può trovare anche prima. In Senato, per la verità, la minoranza ha già predisposto una proposta di legge (tra i firmatari i bersaniani “duri e puri” Miguel Gotor, Maurizio Migliavacca e Vannino Chiti): «Tra i diversi sistemi di espressione della volontà popolare - è scritto nella relazione di accompagnamento al Ddl - si è individuato il modello del collegio uninominale con un unico candidato collegato a un raggruppamento regionale e attribuzione dei seggi con metodo proporzionale, con alcuni elementi di somiglianza con la legge elettorale per il Senato della Repubblica in vigore dal 1948 al 1993».

Collegio uninominale, dunque, come una vera e propria elezione. Roba da far storcere il naso a uno come Matteo Renzi che fin dall’inizio non ha voluto saperne di mettere in discussione l’elezione di secondo grado di una Camera priva del rapporto fiduciario con il governo. D’altra parte nel suo discorso alla Camera di lunedì sera il premier non ha nascosto di preferire un modello vicino a quello tedesco, dove nella Camera federale siedono direttamente le delegazioni degli esecutivi regionali. Altre soluzioni possibili oltre a quella dei collegi uninominali avanzata dalla minoranza, soluzioni alle quali aveva accennato lo stesso Renzi in una delle tante direzioni del Pd dedicate all’elettività o meno del futuro Senato, riguardano la formula dei listini ad hoc. All’interno delle liste per l’elezione dei consiglieri regionali alcuni nomi, quelli appunto dei consiglieri destinati a diventare anche senatori, sarebbero cioè evidenziati a parte in modo da essere riconoscibili agli occhi degli elettori. I quali, all’interno di questi listini, potrebbero anche dare una preferenza. Un’altra soluzione, avanzata la scorsa estate dall’ex presidente della Camera Luciano Violante, può essere quella della designazione diretta da parte degli elettori senza necessità di listini ad hoc.

Altra questione risolvibile con la legge di attuazione della riforma è la presenza «di diritto» dei presidenti di Regione nel futuro Senato. Una presenza che al tempo del Patto del Nazareno Silvio Berlusconi non volle obbligatoria per l’evidente ragione che la maggior parte dei governatori è di centrosinistra, ma che invece la stessa ministra per le Riforme Maria Elena Boschi - in questo d’accordo con la minoranza del Pd - ha recentemente avuto modo di auspicare per dare maggior peso politico alla Camera regionale. Una presenza dei governatori nel nuovo Senato - da molti data per scontata ma che comunque senza “obbligo” resta una scelta politica personale - renderebbe ancora più naturale il superamento della Conferenza Stato-Regioni. Perché è chiaro che i presidenti di Regione avranno un luogo deputato e politicamente più forte per far valere le loro ragioni.

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