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Padoan: misure decisive per il rilancio delle banche

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l’intervista

Padoan: misure decisive per il rilancio delle banche

«Le misure prese dagli investitori privati del fondo Atlante e i provvedimenti del Governo sul diritto fallimentare saranno decisive per il rilancio del sistema bancario». Con toni pacati ma decisi che lo contraddistinguono, il Ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan non si mostra preoccupato dei dubbi emersi ieri tra gli investitori («nei giorni scorsi forse c’era stato fin troppo entusiasmo»). Il piano «è visto con favore dalla vigilanza bancaria della Bce», mentre Padoan non vede «nessun rischio» di stop dalla Ue al fondo Atlante «alimentato da capitali privati,con contributi volontari, e gestito da soggetti privati». Nella prima intervista del 2016, Padoan parla al Sole 24 Ore anche del Def: per le privatizzazioni, il Mef pensa a un’altra tranche di Poste, mentre «la riduzione della pressione fiscale dovrà avvenire con i tagli alla spesa». Padoan scommette sul sì della Ue a Def e flessibilità. Tagliando per la voluntary disclosure: «se funziona, si potrà usare ancora».

Ministro Padoan, per superare le fragilità di una parte del sistema bancario, Governo e sistema finanziario privato hanno messo a punto un impianto complessivo di misure per il rilancio del settore. Come si è arrivati a questa svolta?
Si tratta di un’operazione che coinvolge il settore privato, con un intervento che avviene in parallelo alle nuove misure che il Governo approverà nel consiglio dei ministri della prossima settimana per accelerare le procedure fallimentari e concorsuali.

Che ruolo ha avuto il Governo, e in particolare il Ministero dell’Economia, nella nascita del fondo Atlante a capitale privato?
Il Mef e il Governo hanno svolto un ruolo che definirei da facilitatore. Il fondo sarà gestito da una Sgr privata e sarà finanziato da capitali privati su base esclusivamente volontaria. E avrà due obiettivi principali: contribuire ad alcune ricapitalizzazioni bancarie, con funzioni di backstop e di rete di protezione di ultima istanza, e avviare un meccanismo di acquisto e gestione dei crediti in sofferenza che, proprio come fanno gli operatori di mercato che operano nel settore, utilizzi anche l’effetto-leva ampliando il raggio d’azione rispetto ai capitali versati.


Dei 5-6 miliardi che dovrebbero essere raccolti dal fondo, quanti saranno destinati alla garanzia degli aumenti di capitale e quanti all’acquisto dei crediti in sofferenza?
Le modalità di allocazione dipenderanno dalle esigenze del fondo e dalle adesioni del mercato alle varie ricapitalizzazioni.

In Borsa, dopo due giorni di euforia, ieri sono emersi i dubbi degli investitori. Crede che il doppio piano funzionerà?
Nei giorni scorsi c’è stata grande euforia, forse anche troppa per essere concentrata in due sole giornate. I mercati non dispongono ancora di un quadro completo, visto che il lancio del fondo è appena stato annunciato, e questa mancanza di informazioni si traduce in nervosismo. Inoltre i mercati vorranno valutare non soltanto il fondo ma anche le nuove misure del Governo, che io ritengo decisive per affrontare definitivamente il problema delle sofferenze. Il nuovo provvedimento completerà le riforme già effettuate dal Governo. Si tratta di un passo importante che colma un ritardo dell’Italia rispetto ad altri Paesi europei.

Quanto incide il problema delle sofferenze sulla capacità delle banche di erogare credito?
Sono il primo ad ammettere che la vulnerabilità del sistema dovuta all’ingente stock di crediti in sofferenza è un problema che c’è e va affrontato. Il Governo è già intervenuto nei mesi scorsi con una serie di provvedimenti e il prossimo sarà risolutivo. Stiamo lavorando con il ministro Orlando per anticipare con decreto alcuni provvedimenti contenuti nella legge delega all’esame del Parlamento in materia di diritto fallimentare. Se i tempi delle controversie sui crediti vengono più che dimezzati, il valore di mercato dei crediti in sofferenza ne ha un beneficio. Risolto il problema dei crediti in sofferenza ripartiranno i prestiti all’economia reale. Aggiungo che la rimozione di parte dello stock delle sofferenze dai bilanci bancari aumenterà anche l'efficacia della politica monetaria della Bce per l'Italia.

È un problema che si poteva affrontare prima?
Altri Paesi, tra cui la Spagna, lo hanno fatto anni fa con capitali pubblici. Dal primo agosto 2013 le regole europee ce lo impediscono.

A proposito di regole, il piano del fondo Atlante rischia di essere bocciato da commissione Ue e dalla vigilanza europea della Bce?
Non vedo nessun rischio. Da un punto di vista della disciplina della concorrenza non può essere ravvisato alcun ruolo dello Stato, visto che si tratta di un’operazione interamente privata: una Sgr privata che crea un fondo con capitali privati su base volontaria. Con la sorveglianza unica della Bce è già in corso un dialogo proficuo condotto dalla Banca d’Italia e da Francoforte ci risulta un atteggiamento molto costruttivo, credo che vedano con favore questa iniziativa.

Troppe regole imposte dalla rapida implementazione dell’Unione bancaria? Che ne pensa della proposta tedesca di limitare il peso dei titoli di Stato nei bilanci bancari?
L’Italia è tra i sostenitori dell’Unione bancaria, ma chiediamo che ora si completi, come previsto, con il terzo pilastro che prevede la garanzia europea dei depositi. La proposta di limitare i titoli di Stato nei bilanci delle banche è a giudizio dell’Italia sbagliata e dannosa perché introduce elementi di rigidità in un mercato in cui invece si deve essere liberi di diversificare gli investimenti. E in ogni caso, riteniamo che il tema non debba essere affrontato a livello europeo ma a livello globale e negli organismi deputati a farlo come il comitato di Basilea.

Il 2015 è stato l’anno del ritorno degli investitori esteri nel nostro Paese. Ritiene che il clima di fiducia vi sia ancora o si stia affievolendo? E il pacchetto di misure sulle banche può contribuire alla fiducia degli investitori?
Il sistema bancario è uno snodo delicato. Esistono temi di efficienza delle singole banche e fattori sistemici. Le misure che sono state prese rafforzano la percezione di fiducia nel sistema bancario e di solidità del Paese. Più in generale, il sentiment degli investitori nei confronti dell’Italia resta positivo. È stato di interesse in attesa delle riforme promesse, è stato di approvazione quando le riforme sono state varate, sarà di sostegno adesso che quelle riforme vengono implementate.

Nel decreto legge ci saranno anche norme per gli indennizzi agli obbligazionisti junior delle 4 banche di cui è stato decretato il fallimento? Penso che quello sia il contesto corretto.

Il Def conferma l’obiettivo di introiti dalle privatizzazioni nel 2016 pari a 0,5% del Pil, nonostante il venir meno della quotazione Fs.
Valorizzare le imprese pubbliche non significa soltanto vendere un pezzo dello Stato per fare cassa ai fini dell’abbattimento del debito ma significa anche esporre il management alla concorrenza e allo scrutinio dei mercati per migliorare i risultati e la qualità dei servizi. Questo vale per Poste, Fs, Enav.

Ma come sostituirete nel 2016 l’introito che doveva arrivare da Fs? Ci sono ancora spazi di valorizzazione, anche per le stesse Poste. La capacità di controllo da parte dell'azionista si può garantire con una quota di partecipazione più bassa, come nel caso di Eni ed Enel.

Quindi state pensando al collocamento sul mercato di ulteriori quote di Poste?
È una possibilità, in ogni caso sempre mantenendo il controllo.

La crescita resta l’obiettivo prioritario del governo nonostante il rallentamento?
La crescita del 2016 sarà per l’Italia del 50% più elevata rispetto a quella registrata nel 2015, passando da 0,8% a 1,2%. È meno di quello che vorremmo ma il tasso di crescita risente del deterioramento del quadro economico negli Usa e in Europa, con il rallentamento degli investimenti e del commercio internazionale. Anche in Italia il contributo alla crescita delle esportazioni è molto più bassa che non quello di investimenti e consumi.

Ci sono fattori su cui puntate per rafforzare la crescita nei prossimi mesi?
Anzitutto gli investimenti, privati e pubblici, che sono una componente della domanda nel breve periodo ma anche un fattore di sviluppo e competitività nel medio periodo. Per sbloccare gli investimenti pubblici abbiamo superato il patto di stabilità interno, e per spingere ancora gli investimenti privati abbiamo un nuovo pacchetto di misure di finanza per la crescita.

In cosa consiste?
L’anno scorso abbiamo fatto molto sul piano regolamentare per spostare le imprese italiane verso il mercato dei capitali e riequilibrare così il sistema del finanziamento troppo bancocentrico. Abbiamo dato incentivi per investimenti e ricapitalizzazioni, guardando sempre molto all’impresa. Ora spostiamo il focus sull’investitore dell’impresa, con incentivi anche importanti, per esempio per i fondi che investono in piccole e medie imprese. Vogliamo spostare una quota del risparmio gestito verso l’impresa italiana. Questo può portare capitali stranieri verso le imprese italiane.

Che dati avete sugli investimenti pubblici? Si sta sbloccando qualcosa?
I primi risultati ci sono. L’Italia è fra i primi paesi nell’uso delle risorse Bei del fondo Juncker e non è stato facile avviare questo meccanismo. E poi i comuni tornano a investire grazie al superamento del patto di stabilità interno che quando ho cominciato a fare questo lavoro mi è subito apparso un mostro burocratico.

Avete cominciato a definire il quadro della prossima legge di stabilità in autunno. Resta il macigno delle clausole di salvaguardia da oltre 15 miliardi che volete rimuovere. Resteranno risorse per la crescita e il rilancio degli investimenti?
Lo sforzo di consolidamento dell’Italia colloca il nostro paese fra i più virtuosi dell’Europa, e dobbiamo continuare per fare scendere il debito. Quindi lo spazio fiscale, a parità di condizioni, è limitato. Diventa fondamentale decidere come usarlo.

Ci sono le prime proposte: il presidente del consiglio parla di estensione degli 80 euro alle pensioni basse.
In questa fase ci sono varie ipotesi sul tappeto. È presto per pronunciarsi.

La riduzione della pressione fiscale resta uno dei vostri obiettivi?
È uno dei pilastri della politica del governo, ma come dico spesso, per essere credibile deve essere finanziata con tagli alla spesa. Per questo la spending review continua.

Anche qui c’è una percezione diffusa che la spending review si sia fermata o addirittura non ci sia mai stata.
Non è vero. Quest’anno la spending review è stata di 25 miliardi grazie alla legge di stabilità e ai provvedimenti presi nei mesi precedenti. Altrettanto importanti sono nuovi meccanismi che stiamo avviando per cambiare strutturalmente la spesa, come la centralizzazione degli acquisti nella sanità, dove i centri di spesa sono scesi da 33mila a 35. Oppure la riforma della procedura di bilancio. A partire dal 2017 avremo una spending review permanente che costringe a rivedere non solo le spese al margine ma a ripensare a tutta la spesa. Con il risultato di dare più flessibilità al bilancio.

Lo slittamento del pareggio al 2019 è già concordato con Bruxelles? Le misure che stanno nel Def sono state discusse dal governo ma anche condivise con la commissione, che deve ancora pronunciarsi sulla flessibilità incorporata nel Def.

È fiducioso sull’approvazione del Def e della flessibilità da parte della commissione Ue?
Non credo che ci saranno problemi. Il Def non arriva alla commissione così sul tavolo, ma, ripeto, ne abbiamo discusso, recependo anche alcune osservazioni. La posizione italiana è che il quadro macroeconomico che sta nel Def è assolutamente compatibile con le regole europee. Lo spostamento del pareggio di bilancio è coerente con il quadro internazionale deteriorato. E poi l’aggiustamento di bilancio è legato al metodo con cui si calcola il pareggio strutturale, una questione tecnica ma con pesanti implicazioni politiche e per la vita dei cittadini. L’Italia si muove fra Scilla e Cariddi. Da una parte se si fa troppa restrizione, si genera una dinamica del debito che peggiora anziché migliorare. Dall’altra se invece non si tiene conto dell’obiettivo di abbattimento del debito, le aspettative di mercato peggiorano e quindi i costi del paese per finanziarsi sui mercati aumentano. Il sentiero è stretto ma noi continuiamo a seguirlo.

Cambiare verso all’Europa. A che punto siamo?
La mia sensazione è che i rapporti con l'Europa siano molto migliorati e il dialogo sia più costruttivo, almeno nel campo delle politiche di bilancio e della concorrenza. Si riconosce che l’Italia continua a lavorare e a prendere decisioni che sono all’interno delle regole. A chi sostiene che chiediamo troppa flessibilità ho risposto più volte: chiediamo la flessibilità prevista dalle regole. Questo rapporto più costruttivo con le istituzioni europee è il frutto di un atteggiamento che in una certa fase è sembrato solo aggressivo e che invece è di proposta sostanziale. Fin dal semestre di presidenza abbiamo detto che l’Europa doveva darsi priorità diverse, crescita e occupazione. Questo si è tradotto in fatti, come la flessibilità. E recentemente abbiamo fatto una proposta strategica che viene discussa con grande attenzione. Sicuramente l’Italia non è stretta in un angolo. È vista come un Paese importante in cui permangono problemi che il Governo sta affrontando.

Flessibilità pensioni in uscita. È prematuro parlarne?
Il nostro sistema pensionistico è fra i più solidi d’Europa e questa solidità è un valore che va protetto perché contribuisce alla sostenibilità del debito pubblico. Il sistema pensionistico si può migliorare, anche per le implicazioni che alcuni cambiamenti potrebbero avere sul mercato del lavoro in termine di assunzioni di giovani. Siamo ancora nella fase iniziale della discussione ma l’importante è che teniamo conto anche dei vincoli di finanza pubblica.

Che le suggerisce la pubblicazione dei Panama papers?
Per quanto riguarda l’Italia, confermo che siamo un paese all’avanguardia nella lotta ai paradisi fiscali. Al tempo stesso i Panama Papers dimostrano che ci sono ancora molti buchi neri nella lotta all’evasione internazionale, soprattutto in termini di localizzazione di strutture societarie. Prenderemo iniziative nelle sedi internazionali, formali e informali, come per esempio il G5 di cui l’Italia fa parte con Francia, Inghilterra, Spagna e Germania. Va ribadita anzitutto la fermezza nella lotta all’evasione fiscale rafforzando la collaborazione internazionale esistente. Serve una cooperazione che preveda scambi rapidi e analisi del rischio congiunte, anche per arrivare a veri e propri audit congiunti tra autorità fiscali di paesi diversi. Si può anche migliorare la trasparenza sui beneficiari effettivi dei conti e dei prodotti finanziari, risalendo a tutte le persone che ne detengono il controllo e scambiandosi tali informazioni anche a fini fiscali.

Pensate di riutilizzare lo strumento della voluntary disclosure? Sul piano interno stiamo facendo un “tagliando” ai meccanismi della voluntary disclosure per capire quali risultati ha prodotto e se esistano ancora margini di utilizzo. Se una macchina funziona e ci sono ancora chilometri da fare, si può certamente usare ancora.

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