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Dossier «Trivelle», la guida al referendum

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Dossier | N. 25 articoli17 aprile / Il referendum sulla durata delle trivellazioni in mare

«Trivelle», la guida al referendum

Domenica gli italiani saranno chiamati ai 61.563 seggi elettorali per decidere con un referendum se abrogare un passo della Legge di stabilità del dicembre scorso sulla durata delle concessioni delle piattaforme attive in mare fino a 12 miglia dalla costa.

Il gioco dell'energia
Il tema è come lo shangai, l'intrico di bastoncini, perché il gioco si basa sull'abilità di sfilare un'astina senza produrre effetti negativi sulle altre. Così è l'interrelazione fra l'ecologia e l'energia, due temi difficili e strettamente collegati nei quali quando si tocca un dettaglio si rischia di compromettere un rapporto complesso.Questo referendum invece chiede agli italiani di sfilare al buio in modo netto e deciso un bastoncino, quello della novantina di piattaforme già attive nel mare.

Gli elettori, il quorum e l'astensione
Il referendum, per la prima volta in Italia, è stato chiesto non dalle consuete 500mila firme, il cui numero non era stato raggiunto, bensì da nove Regioni. Per evitare usi distorti dello strumento, la Costituzione fissa un quorum per validare il risultato, la metà dei 46.887.562 elettori più uno, e cioè domenica per accoglierne il risultato servirà la presenza al seggio di almeno 23.443.782 elettori. L'astensione è uno strumento usato da coloro che sono contrari a questo referendum; per questo motivo, al contrario, i promotori «no-triv» fanno campagna soprattutto per indurre i cittadini al voto.

Un valore politico
Questo referendum — non è il primo caso — ha travalicato il valore debolissimo del quesito per assumere un'intonazione più politica sulle scelte energetiche e ambientali oppure sul consenso del governo Renzi. Il quesito sottoposto agli italiani è assai debole perché è il superstite di un pacchetto di sei quesiti proposti dalle Regioni.

I cambi continui delle norme
La questione nasce sulle norme per lo sfruttamento dei giacimenti di gas e di petrolio in Italia. Norme severissime, ma in cambiamento continuo secondo gli umori dei politici più sensibili ai “malpancismi” dell'elettorato. Il governo Berlusconi mise un limite, le 12 miglia che definiscono le acque territoriali, allo sfruttamento dei giacimenti in mare. Sono le regole di gran lunga più severe al mondo. Nemmeno la California, citata a modello, è così rigorosa. Nel 2012 il governo Monti ridusse il limite, riducendolo a cinque miglia. Alcune Regioni, visto l'insuccesso della raccolta di firme, l'anno scorso approvarono un pacchetto di quesiti referendari la cui finalità era tornare ai vincoli del governo Berlusconi. Per evitare il referendum, nel dicembre scorso il governo Renzi rintrodusse le norme berlusconiane anti-piattaforme nella Legge di Stabilità: obiettivo andato in fumo perché la Corte di cassazione e poi la Corte costituzionale respinsero cinque quesiti, soddisfatti dalla Legge di Stabilità, tranne uno. La durata delle concessioni. La Legge di Stabilità dice che il divieto di sfruttare i giacimenti nelle acque territoriali non vale nei giacimenti già in uso, che possono continuare a essere usati per la durata della vita utile. E quel quesito non soddisfatto dalla legge ora va al voto dei cittadini.

Che cosa sono le concessioni
Il sottosuolo appartiene allo Stato (è un «bene indisponibile»), il quale se non lo sfrutta in prima persona può concederne lo sfruttamento in cambio di un ricavo: le tasse sul reddito generato e le royalty, che in Italia sono fra il 4 e il 10% del valore estratto (variano se gas o petrolio, se su terra o in mare). Il ribasso del greggio ha ridotto gli incassi per lo Stato. Nel 2014 le royalty avevano generato un gettito di 401 milioni, destinato soprattutto alle Regioni e ai Comuni dove ci sono i pozzi. Altri Paesi, come Norvegia, Inghilterra e Irlanda, hanno royalty zero e hanno spostato tutto il prelievo sulla sola parte fiscale, con un rimborso alle compagnie petrolifere per gli investimenti fatti. In Italia viene sfilato alle compagnie petrolifere sotto forma di tasse e royalty, e viene ridistribuito, fra il 50 e il 68% del valore del giacimenti, in Norvegia il 78%, in Inghilterra fra il 68 e l'82%, in Francia fra il 37 e il 50%, in Canada fra il 53 e il 63%. L'Italia si colloca nella fascia medio-alta del prelievo. Le concessioni durano 30 anni; se il giacimento non è esaurito si può chiedere il rinnovo per 10 anni; poi ancora per cinque anni. Se passasse il referendum, alla prima scadenza della concessione si chiude.

Comitati contrapposti
Per il «sì» all'abrogazione c'è un comitato referendario cui aderiscono anche le Regioni no-triv, le maggiori associazioni ecologiste, numerose organizzazioni come Slow Food e Italia Nostra, comitati. Per il «no» o per l'astensione attorno al piccolo comitato Ottimisti e Razionali si riunisce un drappello sparuto fra i quali l'associazione ambientalista Amici della Terra. Divisa la Cgil: i metalmeccanici della Fiom sono nel comitato no-triv, i chimici-energia-tessili della Filctem sono a favore del «no» o dell'astensione.

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