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Le due versioni sul quorum

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POLITICA 2.0

Le due versioni sul quorum

La versione degli sconfitti al referendum è una non-notizia: ossia che nel Paese c’è un’opposizione a Renzi. La versione del vincitore è che negli italiani è prevalso il buon senso sul tema energetico, sulla tutela del lavoro e sullo sviluppo. Per il premier c’è quindi una maggioranza che sostiene la sua spinta riformista contro l’immobilismo. Versioni che presto saranno verificate alle amministrative e in particolare a Milano e Torino.

Perché la questione dell’economia e dell’occupazione, della cultura pro-impresa contro gli sbarramenti dell’ambientalismo è di certo più sentita in quelle aree del Nord che non a caso sono state sempre il terreno più difficile per la sinistra pre-renziana. Ci provò Walter Veltroni nel suo discorso del Lingotto a descrivere un’altra idea di sinistra sullo sviluppo ma, da allora e nonostante il 34% dell’ex leader, il Pd non ha mai vinto le elezioni. Non nel 2008, non nel 2013. E questa resta la prova più ardua anche per Renzi, verificare la credibilità del riformismo del suo Pd. Quello del Jobs act e del taglio dell’Imu, degli 80 euro in busta paga e della promessa del taglio Ires e, magari presto, dell’Irpef. Per non parlare del nome del ministro dello Sviluppo che ancora non c’è. E che sarà un tassello non banale nella squadra di governo anche in un’ottica Sud-Nord.

Per questa ragione in quelle due città in cui si vota a giugno, Milano e Torino, si farà un test importante dal punto di vista dell’approccio renziano all’economia oltre che cruciale sul piano del risultato. Perché se è vero che Napoli e Roma hanno degli alibi, sia pure striminziti, viste le precedenti gestioni e lo stato del partito, in quelle due città Renzi non può perdere. Tra l’altro, erano date vinte in partenza ma più si avvicina il voto – anche se manca ancora troppo tempo – più appaiono in bilico secondo i sondaggi. Si parla di un testa a testa tra Giuseppe Sala e Stefano Parisi, e di uno scarto minimo anche tra Piero Fassino e Chiara Appendino dei 5 Stelle. E non si potrà nemmeno dire che i due candidati sono estranei alla “cultura” renziana visto che il primo è stato scelto proprio dal premier, il secondo è stato con il premier già dalla battaglia congressuale.

E dunque se è vero che il referendum sulle trivelle non ha dato quorum perché, come dice Renzi, c’è un’Italia che ha premiato un’idea di sviluppo e tutela del lavoro piuttosto che le ragioni personali dei suoi oppositori, tanto più dovrebbe ritrovarsi in queste due città del Nord.

Gli sconfitti del referendum ancora ieri agitavano i numeri contro Renzi, chi parlava dei 13 milioni di votanti chi addirittura 16 milioni, ma questo si sapeva già. Perfino alle europee di due anni fa contro il premier ha votato (o non votato) il 60% degli italiani. Il punto è che alle urne di domenica sono rimasti minoranza. E per trasformare questa massa critica in maggioranza servono contenuti che non si vedono e che certo sono mancati nella battaglia referendaria. O almeno che non sono stati convincenti per gli italiani.

Oggi si replica. Nel senso che alla non-notizia che esiste un’opposizione nel Paese, si vedrà che esiste anche al Senato ma che non ha i numeri per rovesciare il governo. Nel pomeriggio, infatti, si voterà la mozione di sfiducia contro il governo. Sarà al Senato, Renzi parlerà alle 18, le opposizioni si coalizzeranno contro di lui ma difficilmente le minoranze diventeranno maggioranza. Dunque due esercizi andati a vuoto.

Di portata diversa è stato l’esercizio di ieri di Banca d’Italia che ha messo in dubbio le previsioni del Def considerando i rischi al ribasso sulla crescita determinati dalla complessità del quadro internazionale oltre che interno. Insomma, la battaglia del quorum è stata certamente vinta ma non è detto che le ragioni siano quelle di cui parla Renzi. Si vedrà a giugno, se il premier farà breccia in due luoghi emblematici del Paese.

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