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Renzi: ora basta, Regioni puliscano il mare

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Dopo il referendum

Renzi: ora basta, Regioni puliscano il mare

«La consultazione sulle trivelle è finita. Ed è finita 70 a 30. Il popolo italiano ha parlato. Leggo che chi ha perso spiega con insolito atteggiamento di aver vinto, io penso che le Regioni debbano occuparsi più dei depuratori, di tenere il mare pulito, che di referendum. Fine delle polemiche. Gli italiani ci chiedono di lavorare, non di fare polemiche».

Il giorno dopo la sconfitta del fronte del sì al referendum sulle trivellazioni in mare, con un’affluenza che è rimasta bloccata poco sopra il 31% invalidando il quesito, Matteo Renzi torna a parlare del voto di domenica in un’intervista al Tg1. E anche se non fa nomi è chiaro che nel mirino c’è il presidente della Puglia Michele Emiliano, capofila dei referendari che a urne chiuse parlava di una sua vittoria. Emiliano e la minoranza del Pd, che in opposizione all’indicazione di non voto data dalla direzione del partito si è recata alle urne votando sì assieme ai grillini e alla Lega. Un fronte composito di nemici interni ed esterni che guarda già al prossimo cruciale appuntamento, quello di metà ottobre con il referendum confermativo della “riforma delle riforme”. Ossia la riforma costituzionale che abolisce il Senato elettivo e che riordina il Titolo V della Carta alla quale Renzi ha legato il suo destino politico. Ma la volontà di smorzare i toni della polemica politica è evidente anche su questo più importante fronte, dal momento che il premier e segretario del Pd ribadisce nel giro di poche ore che il referendum di ottobre non sarà un voto pro o contro una persona. «Non è un voto su di me, non riguarda il governo - spiega -. La domanda a cui dovranno rispondere gli italiani ad ottobre riguarda una cosa molto semplice: volete cambiare la Costituzione e rendere più semplice il sistema politico, riducendo il numero dei politici, cambiando il ruolo del Senato, eliminando i troppi poteri delle Regioni, abbassando gli stipendi ai consiglieri regionali? Il voto sulla persona non c’entra. Semplicemente, a differenza di altri, se perderò andrò a casa».

Insomma, confortato anche dal mancato raggiungimento del quorum sulle trivelle in vista del referendum d’autunno sul Ddl Boschi, il premier prova a riportare il confronto nel merito di una riforma che sa essere popolare. Il tutto mentre il lungo iter che porterà alla consultazione popolare sta per partire proprio in queste ore: le opposizioni, da Fi al M5S, hanno avviato la raccolta delle firme necessarie (un quinto dei componenti della Camera o del Senato) per chiedere il referendum confermativo. Quanto al Pd, che inizialmente sembrava fremere per raccogliere le firme prima di tutti, comferma il cambio di passo impresso dallo stesso Renzi: «Il nostro intento non è fare la corsa a chi presenta prima la domanda, il nostro gesto di valore politico di presentare le firme non toglie nulla al diritto delle opposizioni di fare altrettanto. Volutamente per questo abbiamo preferito che loro presentassero la richiesta e poi faremo la nostra». Una questione di fair play istituzionale, dunque, dal momento che la richiesta di referendum è soprattutto un diritto delle opposizioni. Esattamente come (è un caso?) chiedeva solo qualche giorno fa la minoranza interna con Gianni Cuperlo.

Superato con successo lo scoglio del referendum sulle trivelle, il governo si prepara già oggi ad affrontare la mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni sull’onda dell’inchiesta petrolio in Basilicata e delle dimissioni della ministra Federica Guidi (saranno due i voti in Senato: uno sulla mozione di sfiducia del M5S, uno su quella di Fi). Un passaggio che non preoccupa affatto la maggioranza, certa dei numeri e dell’appoggio, che tuttavia non dovrebbe essere determinante, anche dei verdiniani. «Siamo affezionati alle mozioni di sfiducia - ironizza il premier - ce ne fanno una ogni quindici giorni, quando sono stanchi una al mese». Ma certo anche il dibattito sulla sfiducia è un modo per le opposizioni di tenere alti i riflettori sull’affaire Guidi. Basta sentire il deputato grillino Alessandro Di Battista: «Il governo è formato da soggetti politicamente pericolosi e Renzi fa da prestanome per altri interessi di petrolieri e lobbisti».

Quanto alle amministrative del 5 giugno, Renzi continua a prendere le distanze sostenendo che si tratta della scelta dei sindaci delle grandi città e nessun impatto ci sarà sul governo nazionale. Decisione saggia, vista la situazione di grande difficoltà in cui versa il Pd a Roma e a Napoli. Ma una frecciatina ai grillini e alla loro candidata per il Campidoglio Virginia Raggi il premier la vuole comunque dare: «Se a Roma vince il candidato contro le Olimpiadi ci saranno sì conseguenze per il governo nazionale, nel senso che non potremo più fare le Olimpiadi».