Il percorso di smantellamento delle piattaforme più vecchie è in corso da tempo, con il normale scadere delle concessioni, ma passeranno anni prima che spariscano le sagome all’orizzonte che disturbano il panorama al popolo delle spiagge e degli ombrelloni. Già alcune decine di piattaforme, nel corso degli anni, sono state chiuse e smantellate ma per il futuro ci sono già diverse piattaforme candidate a sparire prima di altre. Per esempio c’è chi propone di cominciare dalla piattaforma ravennate Angela Angelina, a 2 chilometri dalla spiaggia del Lido di Dante, con i suoi dieci pozzi da cui ogni anno l’Eni estrae 300 milioni di metri cubi di gas.
Il caso Ravenna
I colori della vicenda di Angela Angelina mostrano alcune pennellate dell’assurdo con cui dipinge l’arte politica. La concessione della piattaforma, realizzata nel ’97, scadrà dopo i 30 anni regolamentari nel 2027 ma settimane fa la maggioranza Pd-Repubblicani del Consiglio comunale di Ravenna, dopo aver contestato con una mozione il referendum no triv di domenica proponendo il no o l’astensione, ha chiesto di aprire una negoziazione con l’Eni per chiudere in anticipo l’impianto. Il sospetto è che estrarre il gas dalle viscere della terra faccia sprofondare il suolo. L’opposizione in Consiglio comunale, che fino al giorno prima tuonava contro la “devastazione ambientale” e sollecitava la chiusura della piattaforma, ha cambiato parere non appena il tema è stato fatto proprio dalla maggioranza. Inaccettabile la proposta della maggioranza, viva la piattaforma.
Come chiude un impianto
Alcune concessioni nei mari italiani sono in scadenza definitiva.
La procedura dice che se non ci sono rinnovi della concessione, la compagnia deve presentare un piano dettagliato per rendere a sue spese il giacimento allo Stato.
Devono essere analizzati tutti i dettagli ambientali, condotte analisi dei fondali per vedere se vi sono state contaminazioni. Sottoporre il progetto alla Valutazione di impatto ambientale. Concordare con lo Stato la destinazione, se ripristino totale come se l’impianto non vi fosse mai stato, oppure se affondare la piattaforma come preziosa oasi di biodiversità dove le reti dei pescherecci non riescono a catturare gli animali del mare.
Ma una piattaforma può essere anche trasformata in un polo turistico o una piattaforma eolica. Lo Stato, tornato proprietario, può mettere a gara le istallazioni restituite dalla compagnia.
Prima della nuova destinazione passano non meno di cinque anni, più facilmente un decennio.
La durata delle concessioni
La Legge di Stabilità contestata dai comitati referendari non aveva abolito i tempi delle concessioni sui giacimenti, al contrario di quanto si è detto durante la campagna per il voto. La norma mineraria precedente diceva che la concessione di un giacimento dura trent’anni, rinnovabile di dieci, poi rinnovabile di cinque, cinque, cinque all’infinito finché la compagnia petrolifera ne avesse interesse.
L’iter di rinnovo è assai lungo e complesso, con mille firme e mille via libera di ministeri e autorità competenti, e spesso manca l’accordo della Regione coinvolta (vi sono Regioni indietro di anni) e per questo motivo alla scadenza di queste proroghe la compagnia può continuare a estrarre dal giacimento finché non arriva il rinnovo chiesto o la risposta negativa che respinge la richiesta. In attesa della proroga ci sono 5 impianti, tre al largo dell’Emilia Romagna e uno di fronte alla costa abruzzese.
La Legge di Stabilità in dicembre ha fissato un limite a queste proroghe senza fine dei permessi: possono essere concessi finché il giacimento funziona, ma quando è diventato secco — dice la norma sottoposta a referendum — non si danno più concessioni.
Il ricorso dei comitati
I comitati preparano ricorsi. Protesta Enzo Di Salvatore del Coordinamento nazionale no triv: nei mari italiani ci sono cinque concessioni scadute e il ministero dello Sviluppo economico «non si è mai pronunciato a riguardo, di fatto in cinque zone si sta estraendo senza avere le autorizzazioni».
La senatrice Loredana De Petris (Sel) invece ha annunciato un ricorso alla Commissione europea perché a suo parere il Governo consente «il rilascio di titoli a tempo indeterminato».