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Dall'Orto: il canone bisogna meritarselo

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la nuova rai

Dall'Orto: il canone bisogna meritarselo

Alla domanda su quale sia la sfida più importante per la Rai, la risposta è secca: «Non c'è dubbio. Bisogna meritarsi il canone».

Antonio Campo Dall'Orto, direttore generale della Rai con poteri da amministratore delegato, ha presentato ieri in consiglio d'amministrazione il Piano industriale che dovrà condurre la Rai al 2018. Un Piano triennale che arriva nel mezzo di una riforma, quella del canone, sulla cui operatività nulla al momento si può dare per scontato, e presentato nel mezzo di una consultazione pubblica in vista del rinnovo della concessione decennale.

«È chiaro – precisa il dg Rai – che dovremo rifare un check a fine anno, appunto per verificare gli esiti di questi due passaggi fondamentali». Intanto però fuori da Viale Mazzini c'è “Un mondo nuovo… una nuova era”, per citare una slide contenuta nel documento che riprende l'Economist e una sua rielaborazione grafica dell'Inghilterra di Game of Thrones. I dominatori si chiamano Apple, Netflix, Google, Amazon, Facebook. Con loro dovrà fare i conti la Rai delle mille polemiche – dal Capodanno con countdown troppo anticipato, all'intervista a Riina jr., alla copertura al lumicino per le trivelle – ma cui è riconosciuto unanimemente il ruolo di guida culturale del Paese. Con loro dovrà fare i conti la Rai spesso sul banco degli imputati per mancanza di innovazione, ma che con il Festival di Sanremo o Il Commissario Montalbano tiene davanti alla tv milioni di spettatori. La Rai dei prossimi tre anni, dice Campo Dall'Orto, «dovrà completare la sua trasformazione in media company» seguendo un Piano «che è figlio di un'idea di una Rai che sarà centrale nel suo ruolo di generatore di contenuti», ma anche che «torna a investire in tecnologie e a porsi come motore dell'innovazione».

Mediaset e Vivendi da una parte, la Sky “paneuropea” dall'altra. La Rai è veramente in grado con questo piano di resistere a questi giganti che sono già in casa nostra, oltre a quelli che arrivano dagli Usa?
Il nostro ruolo è diverso. Noi siamo il servizio pubblico italiano. In quanto tale abbiamo il dovere di non rincorrere l'audience a tutti i costi e anzi di pensare a un'offerta complementare a quella della tv commerciale. Aggiungo: come servizio pubblico abbiamo alcune mission non solo sui contenuti e il racconto del Paese, ma anche sull'essere da stimolo all'alfabetizzazione digitale.

Alla Rai come servizio pubblico si imputa però da tempo di aver perso quella spinta creativa che ne ha fatto in passato un motore di sviluppo della cultura popolare. Non crede che bisognerebbe tornare ad avere degli “inventori” di Tv?
Chiaramente sì. Il tema vero è che la nostra azienda si è impoverita da questo punto di vista. Negli anni ha perso una parte culturalmente rilevantissima, che stiamo cercando di recuperare. Faccio un esempio: a tutti i direttori di rete ho chiesto di ricreare la cultura dei capistruttura, vale a dire quelle figure che erano in grado di intercettare i bisogni del pubblico. Certo, tutto questo necessita di tempo. Però se nei prossimi tre anni avremo ricreato una nuova generazione di questo tipo, avremo fatto un passo davvero importante sulla nostra missione.

Di quanti investimenti aggiuntivi necessiterà questo Piano?
Il Piano è stato fatto in relazione alle risorse di cui stimiamo di poter disporre nei prossimi anni. In questo sistema si inseriscono risorse incrementali del canone, che lo ricordo passa da 113 a 100 euro, per il quale abbiamo previsto un tasso di morosità dell'8%, a differenza del 27% di oggi.

Non si tratta di una stima prudenziale?
Ma si parla di sei milioni di famiglie in più che pagheranno: si passa da 15 a 21 milioni. Non è poco. Ad ogni modo, con queste risorse porteremo avanti il Piano mantenendo in equilibrio i conti nei prossimi tre anni in cui abbiamo messo in previsione un utile pre-tasse.

E per il 2015?
L'azienda chiuderà in rosso, ma meglio del budget. Avremo una perdita intorno ai 20 milioni di euro. Per i prossimi anni, invece, se non ci saranno sorprese sul canone e se non interverranno altri elementi esterni di sistema, l'azienda avrà la forza per portare avanti questo piano triennale che ha tra i suoi obiettivi l'efficientamento dei processi ma senza alcun esubero. Tutte le risorse così recuperate verranno investite nei contenuti.
Altri operatori del mercato, ma non solo, stanno chiedendo di avere una Rai senza pubblicità, viste le risorse in più che arriveranno con il canone in bolletta.
Va chiarito che non si può fare la trasformazione della Rai in media company senza un incremento degli investimenti. La decisione in ogni caso non spetta a noi che siamo oggetto della discussione. Penso che con questo perimetro di risorse la Rai possa fare bene il proprio mestiere come operatore culturale del Paese che punta sui contenuti, sulla digitalizzazione e che è il primo investitore nell'audiovisivo nazionale. Peraltro, nel nostro ruolo di servizio pubblico, dal primo maggio togliamo la pubblicità a Rai Yo Yo, il canale per i bambini. In ogni caso, dobbiamo interrogarci sul ruolo industriale della Rai in un sistema in cui la spinta dei colossi stranieri è notevole e in cui la Rai è destinata a rimanere il soggetto, o uno dei pochi, che presidierà il racconto del nostro Paese.

Quindi rinunciare alla pubblicità metterebbe a rischio i piani della Rai?
Io dico che possiamo discutere di limitazioni solo in caso di un sensibile aumento di introiti dal canone rispetto a quelli attualmente previsti. Ricordo che stiamo investendo 200 milioni di euro nella fiction. È chiaro che in questa, come in altre situazioni, occorre essere tutti consapevoli che le risorse che ci arrivano con canone e pubblicità è la stessa Rai che le rimette poi in circolo nel sistema. Non è così per gli altri attori del mercato. Del resto noi siamo servizio pubblico. Questo non vuol dire che non serva una Rai più efficiente e in grado di avere un ruolo attivo, a partire dalle coproduzioni, anche internazionali.

Quali sono le sfide principali che ha davanti l'azienda televisiva pubblica?
L'informazione è la prima attività che giustifica l'esistenza di un servizio pubblico mentre lo sport è forse la sfida più bella. Per il pubblico l'informazione siamo noi, lo sport invece no: abbiamo un gap non indifferente con le tv a pagamento, ma lo sport è un contenuto trasversale, che intercetta anche pubblico che di solito non guarda la tv.

E l'intrattenimento? La fiction?
Dobbiamo offrire qualcosa di diverso dalla tv commerciale. Penso a Laura e Paola. Penso al Rischiatutto, che sarà al giovedì e venerdì sera con Fazio. Nella fiction siamo il primo riferimento in Italia, i promotori di un racconto che dobbiamo comunque articolare ancora di più. Anche con partner esteri: Suburra è una fiction che nasce da un film finanziato da noi e la faremo con Netflix. I Medici sarà girato in inglese ma è una storia nostra, italiana.

Lei ha parlato di innovazione tecnologica nell'offerta. Cosa prevedete?
Pensiamo a un'offerta multipiattaforma, sempre gratuita, di alta qualità. Stiamo digitalizzando tutto il materiale, Teche comprese, la cultura visiva di questo Paese. La prima nostra offerta sarà pronta a settembre. Vogliamo usare tutte le piattaforme come veicoli distributivi dei nostri contenuti, che si devono integrare nelle piattaforme social, da YouTube a Facebook per raggiungere tutti i tipi di pubblico. E dobbiamo rivedere i contratti: sino a due-tre anni fa la Rai i diritti digitali nemmeno li acquistava.

Come va la pubblicità?
Negli ultimi mesi del 2015 molto bene e bene anche in questo inizio d'anno. I prezzi li abbiamo alzati, tanto che non abbiamo più il bacino pieno, è inevitabile.

E i contenziosi aperti con lo Stato?
Alcuni sono atti dovuti, altrimenti la Corte dei Conti ce ne chiederebbe ragione, ma gli scontri tra parti dello Stato secondo me vanno azzerati: stiamo lavorando con il ministero dello Sviluppo economico per la loro risoluzione

In questi giorni è arrivata la sospensione dei tre dirigenti indagati per corruzione.
Oggi gestire risorse pubbliche comporta molta più responsabilità, il tema della trasparenza non può essere messo in discussione. Aggiungo: ho appena revocato una gara. Ci ho messo mesi, ma il rapporto fra prezzo e servizio non funzionava. Situazioni di questo tipo non accadranno più.

Ma alla fine dei tre anni avremo una Rai più lontana dalla politica?
Un momento simbolico è stato quello della nomina dei direttori di rete. A ogni modo, è normale che la politica interloquisca. Non c'è nulla di male, tuttavia deve farlo nelle sedi opportune.

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